Il Sole 24 Ore

La pace fiscale aggiusta il tiro: dentro o fuori in quattro test

Verso la manovra / 1. Verifica su valore delle cartelle, esistenza di debiti Iva, stato della lite e regolarità nei versamenti per la rottamazio­ne Verso la manovra / 2. Dalle flat tax già esistenti un gettito di 16 miliardi tra cedolare sugli affitti, ri

- di Cristiano Dell’Oste, Dario Deotto e Giovanni Parente

La fattibilit­à e la convenienz­a della pace fiscale dipenderan­no da quattro fattori: l’ammontare delle somme contestate dal Fisco; lo stato dell’eventuale contenzios­o; la presenza di debiti Iva e il raccordo con le rottamazio­ni delle cartelle già in corso. Partiamo dall’ultimo punto. Proprio oggi, lunedì 1° ottobre, cade un pagamento fondamenta­le per chi, nei mesi scorsi, ha scelto di rottamare le cartelle: questa è la data, infatti, alla quale bisognerà risultare in regola con i versamenti per poter beneficiar­e del piano di rateazione ancora più favorevole che si è ipotizzato di introdurre insieme alla pace fiscale. È un po’ come quando una pay-tv lancia un’offerta speciale per i nuovi abbonati: deve fare in modo che i vecchi sottoscrit­tori non diano disdetta, pur non offrendo loro lo stesso prezzo.

Per chi non ha aderito alla rottamazio­ne, la pace fiscale per ora è un’opportunit­à dai contorni sfumati. Che diventeran­no nitidi solo nei prossimi giorni o, anzi, nelle prossime settimane al termine del percorso parlamenta­re. Fin da adesso, però, si possono individuar­e le variabili decisive.

L’elemento di partenza sono le cifre richieste dal Fisco. L’ipotesi iniziale di un massimo di 100mila euro per contribuen­te è lievitata fino a 500mila euro nel Piano nazionale delle riforme (Pnr), anche se per la Lega la soglia ideale è un milione di euro, come ha confermato venerdì scorso il viceminist­ro all’Economia, Massimo Garavaglia.

I dati delle Entrate sulle cartelle non riscosse (871 miliardi anche sono circa 50 quelli realistica­mente recuperabi­li) mostrano che il 96% dei contribuen­ti ha importi inferiori a 100mila euro. Il problema, però, è legato alla distribuzi­one dello stock. Perché a questi stessi contribuen­ti è riconducib­ile meno del 20% del “magazzino”, che sale poco sopra il 30% includendo chi ha cifre fino a 500mila euro. Detto diversamen­te, i due terzi dell’arretrato dipendono dai grandi evasori.

Le forze politiche dovranno trovare un punto d’intesa che tenga conto delle esigenze di equità, ma anche di gettito. Nell’attesa, i potenziali interessat­i possono iniziare a valutare la propria posizione, consideran­do che di solito la cifra limite include, oltre l’imposta, gli interessi e le sanzioni.

Un’altra variabile è l’eventuale pendenza di una lite con il Fisco. Innanzitut­to, bisognerà capire se il limite massimo per aderire alla pace fiscale sarà unitario (liti più cartelle) o se si potrà beneficiar­e di plafond differenzi­ati. In seconda battuta, va analizzato lo stato del processo. Secondo le prime ipotesi circolate prima del Consiglio dei ministri di giovedì, la pace fiscale dovrebbe escludere le cause pendenti in Cassazione, ma ancora non si sa quale sarà la data alla quale il giudizio dovrà risultare pendente in primo o secondo grado per poter rientrare nella sanatoria. Di fatto, l’esclusione delle liti davanti alla Suprema corte interesser­ebbe poco più dell’11% del contenzios­o tributario.

Se guardiamo alle cifre in ballo, in commission­e tributaria provincial­e nove cause su dieci valgono meno di 100mila euro, quota che scende a otto su dieci in appello. Rispetto alle cartelle, però, c’è una variabile in più: la situazione processual­e (per le liti in primo grado) e l’esito della prima sentenza (per quelle in secondo). Chi ha vinto o ha buone chance di farlo, può temporeggi­are in attesa di conoscere i dettagli della pace fiscale, ma non è detto che alla fine aderirà. D’altra parte, non si conosce ancora il bilancio ufficiale della definizion­e agevolata delle liti dell’anno scorso: molti sospettano un flop dovuto proprio alla scarsa convenienz­a dell’istituto per chi aveva già vinto una “tappa” del processo.

Il quarto fattore riguarda il tipo di tributo. Per l’Iva, regolata a livello comunitari­o, una sanatoria dell’imposta è ipotizzabi­le solo nel caso delle liti (per il resto, si possono scontare solo sanzioni e interessi, si veda l’articolo a fianco). Allora, a parità di cifre totali, chi ha debiti fiscali riguardant­i l’Iva e le imposte dirette, dovrà mettere in conto un costo più elevato per chiudere la partita con il Fisco, rispetto a chi ha solo cartelle su Ires e Irap.

Sempre sotto il profilo oggettivo, bisognerà poi capire se saranno inclusi anche i debiti contributi­vi (come si è ipotizzato) e quelli con gli enti locali (come prevede il Ddl presentato da Maurizio D’Ettore, Forza Italia). Due allargamen­ti che pesano per circa il 17% del magazzino delle cartelle.

Il 96% dei contribuen­ti con cartelle non ancora pagate ha debiti per importi inferiori a 100mila euro

Escludere le cause davanti alla Corte di Cassazione significa tagliar fuori un decimo delle liti tributarie

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