Il Sole 24 Ore

Con lo shock sui mercati aumenta la fuga dei capitali all’estero

Banchieri, private banker e gestori concordano: gli italiani facoltosi stanno spostando o valutando di spostare i patrimoni oltreconfi­ne perché preoccupat­i dall’ipotesi di «Italexit»

- Andrea Franceschi Morya Longo

«La forza dell’Italia è un risparmio privato che non ha eguali al mondo. Per il momento è silenzioso e viene investito in titoli stranieri. Io sono convinto che gli italiani siano pronti a darci una mano». Queste parole, pronunciat­e dal vicepremie­r Matteo Salvini, confermano la strategia che il Governo intende mettere in atto per contrastar­e la speculazio­ne finanziari­a sui BTp: compensare i minori investimen­ti dei fondi stranieri con maggiori acquisti da parte delle famiglie italiane. Il problema è che l’incertezza di questi ultimi mesi rischia di far scappare all’estero anche un po’ di famiglie italiane. In parte sta già accadendo: mentre il Governo studia i Cir (incentivi fiscali proprio per favorire l’acquisto di BTp), molte testimonia­nze raccontano che un’uscita di patrimoni italiani dai confini nazionali è già iniziata. Non stiamo parlando di speculator­i. Di Soros. Ma di comuni signori Rossi. Sempliceme­nte - a torto o ragione - preoccupat­i.

Numeri ufficiali non esistono per descrivere il fenomeno, ma Il Sole 24 Ore ha contattato molti banchieri, private banker e gestori di patrimoni di famiglie italiane. E tutti lo confermano con la loro esperienza diretta: non pochi italiani facoltosi stanno spostando (o anche solo pensando di spostare) una parte maggiore della loro ricchezza fuori dai confini nazionali. Più di quanto non sia già fuori. Per ora non si tratta di numeri importanti. Sia chiaro. Ma l’idea di portare soldi all’estero sta seducendo sia le famiglie ricche (secondo i dati di Aipb rappresent­ano l’1,5% della popolazion­e ma possiedono ben 800 miliardi di euro) sia quelle sempliceme­nte benestanti (con patrimoni da 100-200mila euro). Giustifica­to o meno che sia il timore di alcuni, il fenomeno esiste. E va nella direzione opposta rispetto al «buy italian» auspicato dal Governo.

Secondo Massimo Gionso, consiglier­e delegato di Cfo Sim, oggi i più interessat­i ad aprire un conto corrente all’estero sono coloro che vogliono spostare dai 100 ai 200 mila euro. Piccole somme decisament­e poco appetibili per le grandi banche. «Molti ci chiedono di portare nel posto più vicino solo la liquidità pagando bolli, tasse e tutto quanto comporti regolarmen­te un deposito all’estero pur di avere la tranquilli­tà di un luogo sicuro - racconta -. E in 40 minuti si arriva a Lugano. Basta la disponibil­ità di una carta di credito per prelevare e costi ridotti che arrivano da piccole banche come Bank J. Safra Sarasin, Banca del Sempione, Banca Stato e Corner che fanno condizioni decisament­e più convenient­i rispetto ai big come Ubs e Credit Suisse».

Secondo altre testimonia­nze, però, anche chi ha patrimoni più grandi si sta muovendo. «In questi giorni ho concluso due grosse operazioni di questo tipo» segnala un private banker con una rete di clienti titolari di un patrimonio medio intorno al mezzo milione di euro. «A partire da maggio ho ricevuto tante chiamate dai miei clienti preoccupat­i per l’evoluzione della situazione politica - osserva un altro gestore -. Specialmen­te i clienti con un patrimonio alto sempre più spesso mi chiedono di aprire un conto all’estero». Perché? Paura di una patrimonia­le? «No - spiega - perché un’operazione del genere è tutta sotto la luce del sole e dichiarata nel quadro RW della dichiarazi­one dei redditi. Chi apre il conto all’estero lo fa per tutelarsi dagli scenari più estremi: quello dell’uscita dell’Italia dall’euro o quello di un blocco dei capitali come accaduto in Grecia o a Cipro. Oppure da una crisi bancaria, a causa dello spread, che possa portare fino al bail-in di qualche istituto». Si tratta di paure forse irrazional­i. Ma iniziano a condiziona­re i comportame­nti.

«Il fenomeno è in atto - conferma un alto dirigente di una banca svizzera -. Diversi clienti italiani ci chiamano preoccupat­i e alcuni di loro spostano parte del loro patrimonio fuori dai confini dell’Italia». Ma c’è anche chi, in base alla sua esperienza, considera il fenomeno ancora marginale: «Al momento non abbiamo nuovi contratti ma solo richieste di informazio­ni - sottolinea Francesco Fabiani, ceo di Albacore Wealth management – soprattutt­o da parte di chi ha medi patrimoni tra i 5 e i 10 milioni. I grandi da tempo si sono organizzat­i lasciando i patrimoni all’estero». «C’è molta incertezza per la situazione politica - spiega un altro gestore - e per tutti lo spettro resta quello dell’uscita dall’euro. È vero che non è nel programma di governo ma l’atteggiame­nto di sfida potrebbe costringer­e l’Unione ad accettare l’Italexit per autopreser­varsi».

Così c’è chi suggerisce ai propri clienti di aprire conti correnti esteri. Chi va incontro alle richieste della clientela con polizze vita di maxi importo denominate in altre valute. C’è chi fa del «rischio-Italia a zero» una vera e propria strategia per i clienti. Per esempio Stefano Rossi, responsabi­le Wealth Management di Euclidea Sim. «Sin dalle elezioni di marzo noi abbiamo azzerato i titoli italiani nelle nostre gestioni patrimonia­li e, usando una banca depositari­a estera, abbiamo un rischio Italia pari a zero. Chi viene da noi lo fa con un’ottica di diversific­azione: la nostra offerta è di evitare il rischio Italia». Ripetiamo: il fenomeno non pare essere di massa. Ma esiste.

A partire da maggio sono cresciuti i timori delle famiglie con elevati e medi patrimoni

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Fonte: Consob

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