Infrastrutture, così Erdogan rivede i sogni di sviluppo
Alcune aziende preferiscono pagare penali per uscire da contratti insostenibili I tagli alla spesa bloccano anche il «crazy project» del raddoppio del Bosforo
La Turchia è in crisi e il presidente Erdogan deve ridurre le spese. Bloccato anche il «crazy project» per il raddoppio del Bosforo, canale per collegare il Mar Nero al Mar di Marmara. Intanto ieri è stato liberato il pastore Brunson; cala così la tensione con gli Usa e la lira recupera.
Lunedì 29 ottobre 2018. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan farà di tutto per non mancare all’appuntamento. In quel giorno, che coincide con il 95° anniversario della fondazione della Repubblica turca, verrà inaugurato il nuovo aeroporto internazionale di Istanbul. Il New Airport (un nome ancora non ce l’ha) è l’ultimo progetto faraonico voluto da Erdogan per rendere la Turchia ancora più grande.
Nella sua prima fase è costato 12 miliardi di dollari. Quando sarà completata la terza fase – se mai sarà completata – sarà forse il più grande aeroporto del mondo con un traffico annuo di 200milioni di passeggeri (più di Atalanta) e oltre 350 destinazioni (più di Francoforte).
La Turchia ne aveva davvero bisogno? C’è già chi dubita della sua utilità. Perché se è vero che il traffico passeggeri è triplicato negli ultimi 10 anni, portando l’aeroporto di Ataturk al limite delle sue capacità, il trend di crescita del numero dei passeggeri sta subendo un rallentamento.
Ci si domanda a questo punto se sarà forse l’ultimo dei faraonici progetti infrastrutturali annunciati da Erdogan nella sua accesa campagna elettorale. Il presidente, rieletto lo scorso giugno, non ha mai mancato di ricordare ai suoi sostenitori tutti i progetti già realizzati, e quelli che intende realizzare nei prossimi 5 anni. Dopo aver scommesso sul vivace tessuto delle piccole e medie aziende private dell’Anatolia, Erdogan ha provveduto a realizzare collegamenti efficienti per spostare rapidamente merci e persone. In parte ci è riuscito. In parte no. Perché dei 400 miliardi di dollari che il suo Governo aveva annunciato di voler investire per festeggiare nell’ottobre del 2023 i 100 anni dalla nascita della Repubblica fondata da Ataturk, diversi rischiano di non esser spesi.
Tra il sogno di Erdogan e la sua realizzazione si è messa di mezzo una crisi economica che continua a peggiorare. Il presidente che aveva fatto della crescita a tutti i costi il mantra della sua politica, alla fine sembra essersi arreso davanti ai numeri: nonostante i tassi di interesse siano saliti fino al 24%, da inizio anno la lira si è svalutata del 30% , mentre il deficit delle partite correnti si trova ancora intorno al 6% del Pil. Le aziende private, che detengono 2/3 del debito complessivo del Paese, sono in grave difficoltà. Entro 6-9 mesi dovranno ripagare 150 miliardi di dollari di debiti in valuta estera . Per non parlare dell’allarme inflazione, con una punta in settembre del 25% su base annua, il massimo da 15 anni.
Soldi non ce ne sono. L’ultimo piano economico, varato qualche settimana fa dal Governo, ha previsto anche una riduzione degli investimenti per i progetti infrastrutturali in un’ottica di tagli della spesa pubblica. È un momento di standby e gli attori internazionali e locali sono in attesa delle contro-misure del governo. Anche nello strategico settore energetico, indispensabile per un paese energivoro come la Turchia, qualcosa si è fermato. Era stata annunciata una gara per l’aggiudicazione della costruzione di un impianto eolico off-shore di dimensioni rilevanti. Ma al momento non si sa nulla circa la data d’apertura del tender.
«Vendendo in euro noi non abbiamo problemi di natura finanziaria legati alla svalutazione» ha spiegato al Sole 24 ore Manuel Marcuz, responsabile della Turchia per il gruppo italiano dell’illuminazione Guzzini, coinvolto in importanti progetti infrastrutturali. «La questione relativa ai grossi tender, pubblici ma anche privati, è in effetti un tema delicato. Trattandosi molto spesso di progetti che durano diversi anni i contractor si sono trovati con accordi firmati quando il tasso di cambio lira/euro era inferiore a 5. Dovendo importare buona parte della merce, la differenza del costo calcolato al momento dell’assegnazione del tender con quello col cambio attuale ha creato grossi scompensi. Per cui in diversi casi alcuni contractor hanno scelto di recedere dal contratto e pagare la penale piuttosto che completare le opere col nuovo tasso di cambio. È una situazione che stiamo vedendo abbastanza spesso».
Dei molti progetti infrastrutturali realizzati negli ultimi 10 anni non pochi hanno funzionato a dovere. «Il ponte Osman Gazi non ha registrato problemi, come anche il ponte sotto il Bosforo. I progetti delle metro e del comparto ferroviario funzionano, come anche gli ospedali, costruiti con il modello PPP, non stanno incontrando problemi sul piano del ritorno sull’investimento», spiega Aniello Musella, direttore dell’Ice di Istanbul. Alcuni progetti che vedono coinvolte aziende italiane sono stati ultimati o sono in via di ultimazione.
Altri progetti invece si stanno dimostrando non molto redditizi. Come il gigantesco terzo ponte sul Bosforo, Yavuz Sultan Selim, nel cui consorzio rientra anche il gruppo italiano Astaldi. La causa è probabilmente l’alto costo del pedaggio, che scoraggia molti turchi a prendere la via più rapida anche a costo di mettersi in fila per un’ora su un altro ponte.
E gli altri progetti? Strade, treni super veloci, ponti, centrali elettriche innovative. Nonostante le autorità turche mostrino ottimismo, ribadendo che i progetti infrastrutturali seguiranno la tabella di marcia(almeno il 30% delle infrastrutture pensate per il 2023 dovrebbe essere realizzato attraverso partnership pubblico-private), è presumibile che molti dei nuovi progetti siano rimandati a momenti migliori
La sorte di quello che, non senza una punta di orgoglio Erdogan amava definire il “crazy project”, ed insisteva a voler realizzare, appare invece segnata: il raddoppiamento del Bosforo, un canale artificiale lungo oltre 35 km per collegare il Mare Nero al Mar di Marmara (un costo annunciato di 15 miliardi di dollari ma per alcuni analisti di 65 miliardi). Simili progetti, oggi, la Turchia non può più permetterseli.