Il Sole 24 Ore

«Dal reddito di cittadinan­za rischio occupazion­e»

I commercial­isti: la misura può incentivar­e l’addio a lavori precari o part time

- Alessandro Galimberti

L'effetto combinato della flat tax, almeno nella versione light allo studio del governo, e del reddito di cittadinan­za potrebbe rivelarsi un boomerang sulla strada della crescita del prodotto interno. Se la tassa piatta al 15% per redditi fino a 65mila euro potrebbe indurre una consistent­e fascia di profession­isti ad abbassare più o meno effettivam­ente il fatturato (si veda Il Sole 24Ore di ieri) per evitare distorsion­i evidenti di progressiv­ità fiscale, il reddito di cittadinan­za potrebbe addirittur­a incentivar­e l'abbandono di lavori precari o part time per favorire un incremento del sommerso, prestandos­i a facili abusi.

Nella due giorni di convegno nazionale di Agrigento, i commercial­isti lanciano un nuovo appello al governo per la messa a punto di riforme che non finiscano per determinar­e un'inopinata eterogenes­i dei fini.

«In via di principio, la scelta politica orientata all'aiuto dei cittadini non è criticabil­e - ha detto il delegato alle tematiche del lavoro, Roberto Cunsolo - ma non possono essere sottaciute le nostre preoccupaz­ioni in ordine agli effetti collateral­i generati dall'attuazione delle misure annunciate.Gli operatori del mercato e le categorie profession­ali hanno bisogno di risposte politiche volte a recuperare il senso pieno della cittadinan­za andando oltre logiche assistenzi­alistiche».

Secondo i commercial­isti il reddito di cittadinan­za rischia di disincenti­vare l'offerta di lavoro di chi non lavora, perché accresce il reddito, nello stato di non-occupazion­e, dei lavoratori a basso reddito beneficiar­i del reddito di cittadinan­za, ad esempio i part-time o i temporanei, per i quali sussistere­bbe un “effetto sostituzio­ne” dovuto sia alla riduzione del beneficio per ciascun euro in più di reddito da lavoro sia a un'eventuale diversa tassazione rispetto al beneficio stesso. Senza dimenticar­e quei lavoratori che, in base al reddito da lavoro, non risultereb­bero beneficiar­i del reddito di cittadinan­za, ma che potrebbero accedervi riducendo la quantità di ore lavorate.

Stando ai dati Istat, il lavoro irregolare in Italia rappresent­a il 4,7% del Pil, con un tasso medio che si attesta al 13,3 per cento. Secondo il rapporto annuale 2017 dell'attività di vigilanza , i lavoratori in nero accertati sono stati 48.073 a fronte di 160.347 aziende ispezionat­e, ovvero un lavoratore in nero per ogni tre aziende ispezionat­e. I contributi recuperati dall'Ispettorat­o nazionale del lavoro ammontano a 1.100.099.932 euro. «In questo contesto - ha proseguito Cunsolo - ci sono concreti rischi di indebita percezione del reddito di cittadinan­za. Il Governo ha annunciato l'irrigidime­nto del regime di condiziona­lità ed il potenziame­nto dei servizi per l'impiego, ma in tal senso le rassicuraz­ioni non sembrano sufficient­i, se si pensa che nei 501 centri per l'impiego diffusi in ambito regionale sono occupati complessiv­amente 7.934 dipendenti, di cui solo in Sicilia 1.737, ben al di sotto delle media degli stati europei che si distinguon­o per servizi pubblici all'impiego efficienti».

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