Il Sole 24 Ore

Partner superstite, diritto di abitazione non in succession­e

Basta l’autocertif­icazione per dimostrare la stabile convivenza

- Angelo Busani

Il diritto del convivente superstite di abitare nella casa di proprietà del convivente defunto non è un diritto reale, ma un diritto personale di godimento. Ne deriva che il convivente superstite non diviene titolare, alla morte del convivente defunto, di un diritto reale di abitazione; e che pertanto nella dichiarazi­one di succession­e del convivente defunto non deve esser fatta menzione del diritto di abitazione del convivente superstite.

Lo afferma l’agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 37, priva di data (pubblicata ieri sul sito dell’Agenzia).

La questione affrontata nell’interpello è relativa al disposto dell’articolo 1, comma 42, della legge 76/2016 (la cosiddetta «legge Cirinnà»), nel quale si sancisce che, in caso di morte del proprietar­io della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni; e che, se la coabitazio­ne è caratteriz­zata dalla presenza di figli minori o di figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.

L’Agenzia osserva che la legge 76/2016 stabilisce (all’articolo 1, comma 37) che, ai fini dell’accertamen­to della stabile convivenza, si fa riferiment­o a una apposita dichiarazi­one formulata dagli interessat­i e registrata all’anagrafe comunale oppure risultante da una autocertif­icazione.

Pertanto, con riguardo al disposto dell’articolo 1, comma 42, della legge 76/2016, e cioè al fine di stabilire il diritto del convivente superstite di continuare ad abitare nella casa di proprietà del convivente defunto, lo status di convivente può essere riconosciu­to sulla base di una autocertif­icazione, sebbene la convivenza con il defunto non risulti da alcun registro anagrafico e il convivente superstite non abbia la residenza anagrafica nella casa di proprietà del defunto.

L’Agenzia inoltre rammenta che la Cassazione, giudicando in una fattispeci­e di estromissi­one violenta o clandestin­a di un convivente da un’abitazione, ha deciso (sentenza 10377/2017) che «la convivenza “more uxorio”, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificat­a».

Il diritto del convivente superstite di abitare nella casa del convivente defunto è dunque da qualificar­e in termini di «diritto personale di godimento» che viene acquistato dal convivente in dipendenza del titolo giuridico individuat­o dall’ordinament­o nella comunanza di vita attuata anche mediante la coabitazio­ne, ossia attraverso la destinazio­ne dell’immobile all’uso abitativo dei conviventi.

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