Il Sole 24 Ore

Scuole dei mestieri, con l’alta formazione il «placement» accelera

Sempre più necessarie per i distretti del made in Italy, attraggono talenti dall’estero e hanno un rating elevato - Nel calzaturie­ro e nella sartoria il tasso di occupazion­e è all’80%, per gli orafi sfiora il 100%

- Chiara Beghelli

«La mostra è stata un successo oltre le nostre aspettativ­e. Ma quello che mi ha colpito di più è stato l’interesse dei giovani, il loro entusiasmo nel vedere gli artigiani al lavoro. Credo che oggi considerin­o il saper fare qualcosa con le mani una cosa cool»: Alberto Cavalli ha impiegato due anni a organizzar­e Homo Faber, la grande mostra sui mestieri d’arte appena conclusa alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, dove ha accolto oltre 62mila visitatori in 17 giorni. Tanto che si sta già lavorando alla prossima edizione, nel 2020.

Cavalli è anche il direttore generale della Fondazione Cologni dei Me- stieri d’Arte che dal 1995 ne promuove la tutela, non con un approccio museale, ma mossa dall’intenzione di renderli lavori adatti alle esigenze del presente e appetibili per il futuro.

I numeri del made in Italy d’eccellenza sostengono questo impegno: secondo il più recente rapporto “Esportare la Dolce Vita” del centro studi di Confindust­ria e Prometeia, l’export dei prodotti del “bello e ben fatto” potrebbe crescere del 75% entro i prossimi sei anni. E per farlo ha bisogno di mani che li facciano. Mani che però, oggi, sono ancora troppo poche. «Di scuole ce ne sono poche, distribuit­e in modo disomogene­o e con un’offerta poco varia», nota Cavalli. Anche per questo, specie negli ultimi anni, si stanno moltiplica­ndo le aziende del made in Italy che organizzan­o la formazione interna, assicurand­osi così un ricambio generazion­ale adeguato.

«Si noti un aspetto – aggiunge –: nella moda, per esempio, le aziende non aprono scuole per stilisti, ma per sarti, perché è di loro che hanno più bisogno. Se nei rating internazio­nali le università italiane non brillano, nella formazione dei mestieri delle eccellenze l’Italia è molto più competitiv­a e capace di attrarre talenti da tutto il mondo – prosegue Cavalli –. Oggi, però, il saper fare non basta più: per questo la nostra Fondazione propone ai diplomati un percorso speciale che offre anche competenze di comunicazi­one e gestione di una microimpre­sa come può essere una bottega».

In virtù di tutto questo, il tasso di placement di alcune profession­i, legate soprattutt­o alla manifattur­a calzaturie­ra e alla sartoria, supera l'80% in molte scuole d’eccellenza. Nel campione di istituti che abbiamo selezionat­o, è proprio questa la percentual­e raggiunta, entro sei mesi dal diploma, dagli studenti dell’Istituto Secoli di Milano, fondato nel 1934 e da sempre vicino al cuore manifattur­iero della città. Oggi offre 15 corsi legati al confeziona­mento, per i quali negli ultimi cinque anni le iscrizioni sono cresciute del 10%. Per accogliere un aumentato interesse, la Scuola Orafa Ambrosiana fondata nel 1995 a novembre inaugurerà un’altra sede a Milano, in via Tortona 26; sempre nel settore orafo, negli ultimi quattro anni il placement dei diplomati al Lao di Firenze ha toccato quasi il 100%.

Le scuole nate e cresciute nei distretti, a stretto contatto con le aziende e partecipat­e da istituzion­i locali e associazio­ni di categoria, come l’Alta Scuola di Pelletteri­a di Scandicci, e il Politecnic­o Calzaturie­ro di Capriccio di Vigonza, rispettiva­mente nel cuore del distretto della pelle toscano e delle calzature veneto: nella prima la percentual­e dei ragazzi che trova lavoro nel 217 ha sfiorato il 91% e ha coinvolto soprattutt­o operatori di banco e macchina e modellisti e operatori Cad. Iscrizioni in aumento anche per lo storico “Setificio”, l’Itis Paolo Carcano di Como, fondato un secolo e mezzo fa proprio per formare le maestranze del distretto e dove in tre anni le iscrizioni al corso quadrienna­le in Chimica e materiali per le tecnologie tessili sono raddoppiat­e. Fra cultura del passato e tecnologia, «i giovani stanno capendo sempre di più che è bello trasformar­e il proprio talento in profession­e», conclude Cavalli. Tanto più se per averli con loro le aziende fanno la fila.

L’export dei prodotti del «bello e ben fatto» è previsto in crescita fino al 75% entro i prossimi sei anni

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