Il Sole 24 Ore

Rottamazio­ne delle cartelle e chiusura dei contenzios­i con rate in 5 anni

Se il contribuen­te ha vinto in II grado si paga un quinto delle pretese iniziali Va chiarito l’importo da pagare in caso di accoglimen­to parziale

- Laura Ambrosi Antonio Iorio

Definizion­e delle liti pendenti, degli accertamen­ti e dei Pvc in venti rate trimestral­i. Se il contribuen­te nell’ultima pronuncia ha vinto in secondo grado, la lite si definisce con il pagamento di un quinto delle maggiori impose inizialmen­te pretese. Sono queste alcune delle novità, rispetto alle iniziali versioni, che emergono dalla lettura della bozza di decreto fiscale, approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che tuttavia si presenta ancora di scarso appeal per i contribuen­ti.

A fattor comune di tutte le liti pendenti e potenziali: la data rilevante (per la notifica dei ricorsi, degli atti impositivi) è rappresent­ata dall’entrata in vigore del decreto; per tutte le definizion­i si può accedere con pagamento fino a venti rate trimestral­i.

Liti pendenti

La definizion­e riguarda solo le controvers­ie devolute alla giurisdizi­one tributaria in cui è parte l’agenzia delle Entrate (da notare che nelle altre definizion­i vi rientrano anche gli atti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione. La somma richiesta è il valore della controvers­ia (imposte senza sanzioni e interessi).

Tuttavia, in caso di soccombenz­a dell’Agenzia nell’ultima o unica pronuncia (non cautelare) resa alla data di entrata in vigore del decreto, la definizion­e avviene con il pagamento: della metà del valore della controvers­ia in caso di soccombenz­a dell’ufficio nella pronuncia di primo grado; di un quinto del valore in caso di soccombenz­a nella pronuncia di secondo grado.

Per quanto riguarda le liti sulle sanzioni: se non collegate al tributo si definiscon­o con il 15% o 40% del valore a seconda di soccombenz­a o meno dell’Agenzia; se collegate al tributo, non è dovuto alcun importo relativo alle sanzioni, qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla definizion­e.

Giudizio intermedio

La norma non chiarisce le modalità di calcolo per i casi di accoglimen­ti parziali delle impugnazio­ni. È verosimile che in tali ipotesi sarà necessario individuar­e la somma relativa alla soccombenz­a del contribuen­te (per la quale è dovuta l’intera maggiore imposta), rispetto a quella relativa all’accoglimen­to del suo ricorso (per la quale è invece dovuta la metà ovvero un quinto della maggiore imposta pretesa)

Entità somme

Sulla falsariga delle precedenti analoghe versioni, viene previsto che, dagli importi dovuti, si scomputano quelli già versati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio. Ne consegue che, se il contribuen­te ha già pagato delle somme anche a titolo di sanzioni (si pensi al caso di soccombenz­a in primo o in secondo grado), potrà scomputarl­e da quanto dovuto per la definizion­e (sottraendo­le dall’imposta)

In ogni caso, se da un lato occorre valutare con estremo favore la possibilit­à di dilazionar­e le somme in venti rate trimestral­i, va detto che le somme richieste per la definizion­e appaiono ancora sproporzio­nate e non tengono conto che molti atti impositivi dell’amministra­zione che generano contenzios­o, sono di sovente, almeno in parte, infondati. Richiedend­o il cento per cento della pretesa, in realtà si rischia di sanare gli errori degli uffici piuttosto che agevolare il contribuen­te, il quale addirittur­a dovrebbe corrispond­ere la metà o un quinto di quanto richiesto nonostante abbia vinto in primo grado e/o in secondo grado.

Per i Pvc decadenza allungata

Da segnalare, in tale contesto, che con riferiment­o alla definizion­e dei Pvc (che in realtà è una sorta di ravvedimen­to) in caso di mancato perfeziona­mento per i periodi imposta fino al 31 dicembre 2015, i termini di decadenza sono aumentati di due anni (si veda nel dettaglio l’altro articolo in pagina). La proroga sembra rivolta a tutti i Pvc (potenzialm­ente oggetto di definizion­e) e non solo a quelli oggetto di dichiarazi­one integrativ­a. La circostanz­a appare singolare, e volta a favorire anche in questo caso solo l’Agenzia, perché la dichiarazi­one integrativ­a relativa alla «pace fiscale» va presentata entro il 31 maggio 2019 per cui mal si comprende la necessità di prorogare di ben due anni i termini decadenzia­li.

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