L’INGLESE PER RISPARMIARE TEMPO E DENARO
Dove vai se l’inglese non lo sai? Non è più un consiglio per fare strada nella vita, ma un modo di ricordare che, uscendo di casa la mattina, oltre allo smartphone, bisogna assicurarsi di essere in possesso di un centinaio di frasi fatte in quella lingua. Frasi fatte, niente di trascendentale, perché l’inglese è idiomatico e nella maggior parte dei casi: “si dice così perché si dice così”. Ci sono ragioni storiche, naturalmente, perché grammatica e sintassi siano andate a un certo punto per conto loro e non siano più facilmente riconducibili alla grammatica e alla sintassi delle lingue neolatine, ma la cosa non deve allarmare né in realtà confondere chi intende semplicemente comunicare con qualcuno del miliardo o due di persone che se ne servono ogni giorno a mille livelli: dal discorso accorto e calibrato del rappresentante all’Onu fino all’«io Tarzan, tu Jane” del messicano che attacca bottone al bar dell’aeroporto.
Oggi l’inglese, con i suoi 500mila lemmi registrati nell’«Oxford English Dictionary» (laddove l’italiano del «Grande dizionario dell’uso Utet» ne conta 250mila), è di gran lunga la lingua con il lessico più ampio. Non è la lingua più parlata al mondo, ma è tuttora la più ambita e necessaria. Tant’è vero che esiste un inglese – basic English: 1.200 parole – in uso nel villaggio globale, che non è una neo-lingua ma solo il linguaggio della sopravvivenza, in pace in guerra, e in qualsiasi professione, da tenere nel taschino o nella borsetta come un toccasana.
L’inglese, con l’espandersi dell’Impero, ha raggiunto i quattro angoli del globo, e dalle colonie ha riportato a casa come strumento di libera circolazione all’interno del Commonwealth tutto quanto potesse servire.
Per questo è una lingua sterminata e facile da imparare. Nel suo corpaccione si trovano tracce di altre lingue, vive o morte; frammenti di parole in qualche modo identificabili e che possono servire per un primo orientamento nella conversazione con uno sconosciuto, e che sono il risultato – il bottino – di contatti intensificatisi nei secoli. Dal Rinascimento in poi ha sempre avuto una carta vincente nella propria manica, ed è per questo che alla lunga finisce per prevalere sulle altre lingue. Si potrebbe paragonare questa carta a un jolly.
Si chiama “conversion”, questo fenomeno genetico, ed è intervenuto nello sviluppo storico della lingua eliminando coniugazioni e declinazioni così da rendere possibile un’espressione come “night club”, in cui entrambi i termini sono sostantivi. Ed è la ragione per cui qualsiasi parola, preceduta da “to”, può diventare un verbo, anche se in partenza – e magari nella lingua straniera da cui deriva – era una diversa parte del discorso. Sicché quando in inglese si dice click, basta premettergli idealmente la particella “to” per trasformarlo in un verbo e usarlo così com’è, in tutti i modi e tempi verbali.
Questa è una delle ragioni per cui è conveniente servirsi dell’inglese negli
LE VARIANTI INSIDIOSE E LA SEMPLICITÀ NEL COSTRUIRE LE FRASI COME CARTA VINCENTE
affari – in tutte le transazioni – perché è una lingua che permette come nessun’altra di risparmiare tempo e denaro. Anche se c’è chi ormai sostiene che si dovrebbe parlare di Englishes e non di un solo inglese. Perché molte sono le piccole varianti nella lingua in cui si esprimono, a voce e per iscritto, gli ex sudditi di Sua Maestà, dal Canada all’India e dall’Africa all’Oceania.
Immaginiamo, infatti, un vetro andato in frantumi. Ci si sorprenderà nel vedere che quel che sulla finestra era il riflesso del sole o il disco della luna, sul pavimento si moltiplica non all’infinito ma per tante volte quanti sono i pezzetti di vetro. Succede così anche quando si dissolve un impero. Quel che resta è un arcipelago di varianti, riconducibili a un ceppo comune, le cui isole non si allontanano – questo no, perché attraverso i media sono tutte in contatto – ma coltivano via via giardini dai diversi colori (leggi culture e letterature).
Ma l’inglese non è il latino e i tempi sono cambiati rispetto all’Alto medioevo. Tra un paio di secoli – vogliamo scommettere? – non ci saranno nel mondo lingue neo-inglesi, al modo in cui ci sono quelle neo-latine (italiano, francese, rumeno, spagnolo e portoghese), per il semplice fatto che nelle ex colonie britanniche i libri e i giornali si stampano in inglese. Con qualche venatura di creolo, ma pur sempre in inglese. E questo è un freno alla trasmutazione completa.
Lo Spanglish degli immigrati a «Nueva Yol» o a «Ditroy», per fare un esempio, potrebbe sembrare un caso di neo-inglese. Ma non è così. Poiché quel che distingue una lingua è la sua struttura profonda, lo Spanglish altro non è che inglese con deviazioni e accrescimenti lessicali spagnoli. Talora ritorna sulla propria sintassi spagnola e accoglie parole del lessico inglese dando luogo a un semplice alternarsi dei due idiomi.
L’inglese è una «gazza ladra» – lo è sempre stata – e nella sua storia ha preso parole, si calcola, da 350 lingue diverse. Qualche tempo fa un linguista famoso l’ha definita «una gran puttana ». Si accoppia con chiunque e si arricchisce, ma non si sposa. Ha residenza in quattro continenti, si infioretta e ingioiella con prestiti che non restituisce, ma non cambia casato. Cioè cognome. Si traveste a seconda della gente con cui si accompagna – legulei, farmacisti, medici o commercialisti – e la maniera in cui fa conversazione tradisce la sua origine ibrida. E qualche volta anche tra i “madre lingua” succede che non si capiscano. Non quando si scrivono ma quando si parlano.
E l’unica cosa che può presentare qualche difficoltà per chi vuole impararlo, è che l’inglese non è mai stato regolato, in nessuno dei quattro continenti, da una accademia paragonabile a quelle che ci sono da sempre in Francia in Italia e in Spagna, e come si pronunci una determinata parola può giustificare la famosa definizione di Oscar Wilde a proposito di inglesi e americani: «Due popoli divisi dalla medesima lingua».