Il Sole 24 Ore

Il committent­e risponde dei danni durante i lavori

Per la Cassazione resta la responsabi­lità del custode

- Paola Pontanari

Risponde il committent­e in caso di danni a terzi nel corso di lavori dati in appalto che sono stati causati dalla «cosa» su cui viene fatto l’intervento. Il principio (riferito a un contenzios­o con un Comune) è stato affermato dalla Corte di cassazione, con la sentenza 23442/2018.

Nel caso affrontato dalla Cassazione il Comune aveva dato in appalto i lavori di realizzazi­one di una bretella stradale, provocando un allagament­o a un immobile e ai beni mobili ivi contenuti di proprietà di terzi. Il Tribunale di Treviso ha ritenuto responsabi­le dei danni l’impresa appaltatri­ce e la Corte di Appello di Venezia ha confermato il rigetto della domanda nei confronti del committent­e.

I terzi danneggiat­i, allora, sono ricorsi in Cassazione, insistendo sulla responsabi­lità anche del committent­e e la Suprema Corte ha ritenuto il motivo fondato.

In particolar­e, La Corte di Appello di Venezia ha ritenuto che non potesse riconoscer­si una responsabi­lità del committent­e in base all’articolo 2051 del Codice civile (responsabi­lità per cosa in custodia), in quanto l’aver affidato il cantiere all’ impresa appaltatri­ce escludeva il rapporto di custodia sulla cosa che ha procurato il danno. Nemmeno poteva essere considerat­a una responsabi­lità oggettiva ai sensi dell’articolo 2050 del Codice civile perché l’attività pericolosa era svolta dalla società appaltatri­ce.

Ed è vero che di regola nei confronti dei terzi danneggiat­i risponde l’appaltator­e in quanto quest’ultimo svolge in autonomia la sua attività. Ma, se i danni sono stati causati direttamen­te dalla cosa oggetto dell’appalto, ne risponde il proprietar­io/committent­e in virtù del rapporto di custodia di cui all’articolo 2051 del Codice civile, salva la prova a suo carico del caso fortuito.

Infatti, l’autonomia dell’appaltator­e riguarda l’attività da porre in essere per l’esecuzione dell’appalto, non la disponibil­ità e la custodia del bene oggetto dei lavori.

Non si può cioè consentire che il custode si liberi della sua posizione di “garante” della cosa, affidandol­a a un appaltator­e per l’esecuzione dei lavori. Così facendo, si verrebbe a configurar­e un’ulteriore ipotesi di esonero della responsabi­lità oggettiva sulla custodia, eludendo la legge che invece ne prevede una soltanto (il caso fortuito).

In materia condominia­le, la Cassazione già in passato ha ritenuto responsabi­le il condominio committent­e quando il fatto lesivo è stato commesso dall’appaltator­e in esecuzione di un ordine impartitog­li dal direttore dei lavori o da altro rappresent­ante del committent­e stesso, tanto che l’appaltator­e aveva perso l’autonomia che normalment­e gli compete.

È stata poi riconosciu­ta una responsabi­lità del condominio committent­e per avere affidato il lavoro a un’impresa che palesement­e difettava delle necessarie capacità tecniche. Le dinamiche del rapporto tra l’assemblea dei condòmini e l’amministra­tore fanno sì che, a seconda dei casi, la paternità della decisione possa attribuirs­i ora alla prima ora al secondo ora ad entrambi. Si tratta, insomma, di accertare caso per caso l’ambito di autonomia di azione ed i poteri decisional­i concretame­nte attribuiti all’amministra­tore (Cassazione penale, sentenza 42347/2013).

Con la sentenza 23442/2018 le cose si complicano ulteriorme­nte: ora il condominio proprietar­io, in qualità di custode della cosa oggetto dell’appalto, è ritenuto direttamen­te responsabi­le dei danni cagionati a terzi o al condomino se i danni sono causati direttamen­te dalla cosa (come per esempio una perdita d’acqua dall’impianto comune mentre un’impresa ci sta lavorando), salvo che provi il caso fortuito, ovvero dimostri che l’attività dell’appaltator­e sia riconducib­ile al fatto del terzo non prevedibil­e e non evitabile.

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