Troppa burocrazia sul Made In E le Pmi preferiscono i dazi
Le certificazioni sull’origine dei prodotti rischiano di limitare i benefici degli accordi di libero scambio
Pensiamo a un prodotto qualunque, una lampada o una serratura per cancelli. Poniamo sia prodotta in Italia ma poi inviata in Cina solo per essere confezionata. Poi magari rientra in Europa, come “merce cinese”. Se a questo punto la devo spedire negli Usa, quale dazio pagherà alla Dogana di Baltimora? Quello previsto per un prodotto “Made in China” o “Made in Ue”? Problemi di lana caprina? Mica tanto. In un mondo globalizzato, dove le catene del valore e le filiere sono da tempo globali e dove spesso le aziende dei Paesi maturi assemblano componentistica proveniente dai più disparati quadranti globali, è sempre più difficile stabilire la “nazionalità” di un prodotto. Eppure per le regole vigenti, saper correttamente determinare l’origine e la provenienza di un prodotto può fare la differenza tra un dazio al 30% o un dazio zero se, come Ue, abbiamo un accordo di libero scambio con un Paese o non lo abbiamo.
Ma soprattutto può costare caro se l’errata tracciatura del prodotto finisce in un Paese che non ha accordi o è addirittura in “guerra commerciale” con quello dei fornitori dell’azienda. In un clima di periodica escalation sui dazi commerciali, l’errore può mettere un’impresa “innocente” fuori mercato. È sempre più importante, quindi, per le aziende, saper gestire correttamente la documentazione che riguarda, soprattutto, la cosiddetta “origine non preferenziale” dei prodotti da esportazione. Le aziende che operano con l’estero hanno spesso difficoltà nel distinguere tra origine preferenziale
e non preferenziale delle merci.
L’origine dei prodotti
L’origine preferenziale consiste in un trattamento daziario più favorevole concesso ai prodotti originari di quei Paesi con i quali esiste, appunto, un accordo commerciale in tal senso.
L’origine non preferenziale è, invece, un concetto doganale che identifica il Paese del quale un prodotto è originario (il cosiddetto “Made in”). Se il prodotto non è interamente originario della zona di produzione, se vi partecipano due o più Paesi, si fa riferimento al Paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.
Il problema è che però la definizione non basta. Il codice doganale Ue stabilisce, per ogni tipologia di prodotto – quindi con differenze tra diverse tipologie di lampade e diverse tipologie di serrature – le regole per la lavorazione rilevante considerata necessaria per acquisire l’etichetta di “origine non preferenziale”. Non solo. L’esportatore europeo deve anche tenere conto delle regole che, su ogni singolo prodotto, pongono i diversi Paesi di destinazione.
Un problema per le Pmi
«Un sistema estremamente complesso – ha spiegato Fulvio Liberatore, presidente di Easyfrontier – che una Pmi esportatrice fa fatica a gestire. E non a caso l’Italia, nella classifica dei Paesi Ue che utilizzano le certificazioni di origine è 24° su 28».
Un problema non solo italiano. Lo ha ribadito, pochi giorni fa, a Bruxelles, anche Christian Verschueren, il direttore generale di Eurocommerce: «Anche il migliore degli accordi commerciali di libero scambio, avrà pochi effetti pratici se le Pmi europee, per la complessità delle certificazioni di origine, preferiscono, a tutt’oggi, piuttosto pagare i dazi alle importazioni – che quell’accordo avrebbe azzerato – che avere a che fare con la gestione degli oneri di certificazione». A tutto ciò contribuisce il nuovo sistema di registrazione degli esportatori (Rex), che da un lato semplifica i requisiti e allarga la platea, ma dall’altro, accresce le responsabilità e le sanzioni in caso di informazioni scorrette o di errori sull’origine dei prodotti.
Un aiuto
In attesa che si arrivi, negli accordi di libero scambio, anche a una semplificazione delle regole doganali sull’origine, «un aiuto – conclude Fulvio Liberatore – può arrivare dal nuovo sistema Metisoft – che consente di mappare le regole doganali e di “incrociare”, per ogni tipologia di articolo, la determinazione dell’origine dei prodotti, in base alle materie prime acquistate (in Italia o all’estero) e corredate o meno dal certificato di origine, con le regole del Paese di destinazione, in base agli accordi commerciali più o meno vigenti. Non solo. In caso di irregolarità o informazioni non ritenute adeguate, consente anche all’azienda di prevedere quale potre bbe essere il dazio che potrebbe essere costretta a pagare».