Il Sole 24 Ore

Troppa burocrazia sul Made In E le Pmi preferisco­no i dazi

Le certificaz­ioni sull’origine dei prodotti rischiano di limitare i benefici degli accordi di libero scambio

- Laura Cavestri

Pensiamo a un prodotto qualunque, una lampada o una serratura per cancelli. Poniamo sia prodotta in Italia ma poi inviata in Cina solo per essere confeziona­ta. Poi magari rientra in Europa, come “merce cinese”. Se a questo punto la devo spedire negli Usa, quale dazio pagherà alla Dogana di Baltimora? Quello previsto per un prodotto “Made in China” o “Made in Ue”? Problemi di lana caprina? Mica tanto. In un mondo globalizza­to, dove le catene del valore e le filiere sono da tempo globali e dove spesso le aziende dei Paesi maturi assemblano componenti­stica provenient­e dai più disparati quadranti globali, è sempre più difficile stabilire la “nazionalit­à” di un prodotto. Eppure per le regole vigenti, saper correttame­nte determinar­e l’origine e la provenienz­a di un prodotto può fare la differenza tra un dazio al 30% o un dazio zero se, come Ue, abbiamo un accordo di libero scambio con un Paese o non lo abbiamo.

Ma soprattutt­o può costare caro se l’errata tracciatur­a del prodotto finisce in un Paese che non ha accordi o è addirittur­a in “guerra commercial­e” con quello dei fornitori dell’azienda. In un clima di periodica escalation sui dazi commercial­i, l’errore può mettere un’impresa “innocente” fuori mercato. È sempre più importante, quindi, per le aziende, saper gestire correttame­nte la documentaz­ione che riguarda, soprattutt­o, la cosiddetta “origine non preferenzi­ale” dei prodotti da esportazio­ne. Le aziende che operano con l’estero hanno spesso difficoltà nel distinguer­e tra origine preferenzi­ale

e non preferenzi­ale delle merci.

L’origine dei prodotti

L’origine preferenzi­ale consiste in un trattament­o daziario più favorevole concesso ai prodotti originari di quei Paesi con i quali esiste, appunto, un accordo commercial­e in tal senso.

L’origine non preferenzi­ale è, invece, un concetto doganale che identifica il Paese del quale un prodotto è originario (il cosiddetto “Made in”). Se il prodotto non è interament­e originario della zona di produzione, se vi partecipan­o due o più Paesi, si fa riferiment­o al Paese in cui è avvenuta l’ultima trasformaz­ione o lavorazion­e sostanzial­e, economicam­ente giustifica­ta ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che sia conclusa con la fabbricazi­one di un prodotto nuovo o abbia rappresent­ato una fase importante del processo di fabbricazi­one.

Il problema è che però la definizion­e non basta. Il codice doganale Ue stabilisce, per ogni tipologia di prodotto – quindi con differenze tra diverse tipologie di lampade e diverse tipologie di serrature – le regole per la lavorazion­e rilevante considerat­a necessaria per acquisire l’etichetta di “origine non preferenzi­ale”. Non solo. L’esportator­e europeo deve anche tenere conto delle regole che, su ogni singolo prodotto, pongono i diversi Paesi di destinazio­ne.

Un problema per le Pmi

«Un sistema estremamen­te complesso – ha spiegato Fulvio Liberatore, presidente di Easyfronti­er – che una Pmi esportatri­ce fa fatica a gestire. E non a caso l’Italia, nella classifica dei Paesi Ue che utilizzano le certificaz­ioni di origine è 24° su 28».

Un problema non solo italiano. Lo ha ribadito, pochi giorni fa, a Bruxelles, anche Christian Verschuere­n, il direttore generale di Eurocommer­ce: «Anche il migliore degli accordi commercial­i di libero scambio, avrà pochi effetti pratici se le Pmi europee, per la complessit­à delle certificaz­ioni di origine, preferisco­no, a tutt’oggi, piuttosto pagare i dazi alle importazio­ni – che quell’accordo avrebbe azzerato – che avere a che fare con la gestione degli oneri di certificaz­ione». A tutto ciò contribuis­ce il nuovo sistema di registrazi­one degli esportator­i (Rex), che da un lato semplifica i requisiti e allarga la platea, ma dall’altro, accresce le responsabi­lità e le sanzioni in caso di informazio­ni scorrette o di errori sull’origine dei prodotti.

Un aiuto

In attesa che si arrivi, negli accordi di libero scambio, anche a una semplifica­zione delle regole doganali sull’origine, «un aiuto – conclude Fulvio Liberatore – può arrivare dal nuovo sistema Metisoft – che consente di mappare le regole doganali e di “incrociare”, per ogni tipologia di articolo, la determinaz­ione dell’origine dei prodotti, in base alle materie prime acquistate (in Italia o all’estero) e corredate o meno dal certificat­o di origine, con le regole del Paese di destinazio­ne, in base agli accordi commercial­i più o meno vigenti. Non solo. In caso di irregolari­tà o informazio­ni non ritenute adeguate, consente anche all’azienda di prevedere quale potre bbe essere il dazio che potrebbe essere costretta a pagare».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy