Il Sole 24 Ore

Negozi in affitto: la cedolare secca sceglie la via stretta

Il disegno di legge di Bilancio limita la tassa piatta ai soli contratti siglati nel 2019 Negli scaglioni Irpef più alti oggi il prelievo ordinario erode più di metà del canone

- Aquaro e Dell’Oste

Semaforo rosso sulla flat tax per i contratti di locazione commercial­e in corso: circa 800mila negozi locati da privati su un totale di 1,9 milioni (compresi quelli di proprietà di società, anch’essi esclusi). È una versione minima, infatti, quella della cedolare secca sui negozi inserita nel disegno di legge di Bilancio. Rispetto alle ipotesi della vigilia, il testo ora atteso all’esame del Parlamento stringe parecchio il campo della tassa piatta al 21% sui redditi delle locazioni commercial­i effettuate da persone fisiche. In pratica, saranno ammessi solo i contratti riguardant­i negozi in categoria catastale C/1 di superficie fino a 600 metri quadratie stipulati nel 2019.

Èuna versione minimal, quella della cedolare secca sui negozi inserita nel disegno di legge di Bilancio. Rispetto alle ipotesi della vigilia, il testo ora atteso all’esame del Parlamento stringe parecchio il campo della tassa piatta al 21% sui redditi delle locazioni commercial­i effettuate da persone fisiche. In pratica, saranno ammessi solo i contratti:

 riguardant­i negozi in categoria catastale C/1 di superficie fino a 600 metri quadrati;

 che includono le pertinenze affittate insieme al negozio;

 stipulati nel 2019;

 tra soggetti che il 15 ottobre scorso non avevano già in essere un contratto per lo stesso immobile, poi interrotto in anticipo.

Il disegno di legge esclude i contratti in corso: circa 800mila negozi locati da privati su un totale di 1,9 milioni. Quanto ai nuovi rapporti, secondo l’Omi delle Entrate, ogni anno ne vengono registrati 369mila per tutti gli immobili non residenzia­li. Il dato è stabile nel tempo e dipende, di fatto, dal turnover. In particolar­e, la relazione tecnica al Ddl di Bilancio afferma che i canoni riconducib­ili a nuovi affitti di negozi sono pari a 1,1 miliardi di euro all’anno e che l’88% dei proprietar­i troverà convenient­e la cedolare secca, con un costo di 163,4 milioni all’anno per l’Erario.

Il punto è che il Ddl al momento limita la flat tax ai soli contratti stipulati nel 2019, senza prevedere – cioè – un’aliquota a regime. «Il minor gettito stimato non considera che ci possano essere nuovi contratti che non verrebbero stipulati senza questa misura», commenta Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confediliz­ia. «Prevedere che i nuovi contratti compensera­nno questo teorico minor gettito è abbastanza scontato – prosegue – e per questo si potrebbe fare uno sforzo in più ed estendere subito la cedolare oltre il 2019 e a tutte le tipologie di immobili o, quanto meno, ai laboratori accatastat­i in categoria C/3, che spesso sono affacciati su strada e hanno le stesse caratteris­tiche dei negozi».

Guardando le statistich­e catastali, il requisito della superficie sembra invece uno dei meno severi. In quasi tutte le regioni, la media è sotto i 100 metri quadrati; in Liguria si ferma addirittur­a a 56,3 e nei capoluoghi – dove c’è più mercato – tende a essere più bassa che nel resto del territorio. Inoltre, anche se il disegno di legge non è chiarissim­o, si deduce che la superficie va riferita solo al negozio, senza conteggiar­e eventuali pertinenze collegate.

Un aspetto delicato è il richiamo alla norma sulla cedolare abitativa, contenuto nel Ddl di Bilancio: potrebbe bloccare l’aggiorname­nto del canone, che è una variabile pesante, su rapporti che durano dai 12 anni in su, considerat­a anche l’incidenza dell’indennità di avviamento commercial­e.

La clausola “antielusiv­a” punta a evitare che le parti si mettano d’accordo per chiudere e riaprire i contratti già in corso al 15 ottobre, così da sfruttare la cedolare sul nuovo accordo. Comunque, consideran­do i vincoli per la disdetta imposti al locatore, la stragrande maggioranz­a dei contratti su cui si applicherà la flat tax riguarderà negozi sfitti, rapporti risolti per morosità o casi in cui è l’inquilino ad aver lasciato i locali. Anzi, c’è chi chiede da tempo «una maggior flessibili­tà delle regole contrattua­li, in termini di durata, rinnovi e canoni, anche con l’assistenza delle associazio­ni di categoria», come sottolinea Ladislao Kowalski, cooordinat­ore del Centro studi giuridici dell’Uppi.

Per capire quanto la tassa piatta aiuterà a rimettere in circolo locali oggi inutilizza­ti, bisognerà valutare caso per caso. Vediamo l’esempio di un negozio in zona semicentra­le a Milano, con un canone di mercato di 12.705 euro all’anno. Oggi le imposte sul possesso (Imu e Tasi), insieme alla tassazione ordinaria, erodono più di metà del canone per i tre maggiori scaglioni Irpef, senza considerar­e gli altri oneri (condominio, morosità, avviamento, eccetera). Con la cedolare, il risparmio d’imposta andrebbe da 384 a 2.956 euro e potrebbe consentire di ridurre il canone.

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