Come gestire l’attività in giro per il mondo: intervista al guru dell’intelligenza «cross cultural»
Peter Alfandary, ex avvocato, da otto anni insegna l’arte di trattare con clienti o partner internazionali
Non solo competenze: il professionista va a scuola di «intelligenza culturale». Parla Peter Alfandary, ex avvocato e oggi formatore.
Verso un cliente straniero l’avvocato deve fare anche da guida culturale. Non basta dire questa è la legge: il buon professionista prende per mano il cliente e con lui inizia un viaggio». Per Peter Alfandary, 65 anni, inglese di nascita e francese di formazione, il legale internazionale «deve smettere di fare il turista e diventare un esploratore». E nei suoi corsi sull’intelligenza culturale per studi legali e multinazionali offre strumenti in questa direzione. Avvocato lui stesso per 34 anni (prima in Lovells e poi con uno studio proprio), da otto anni ha lasciato la toga per trasformare la passione in un mestiere: è diventato esperto e formatore in intelligenza culturale «perché questa è ormai una competenza necessaria per chi lavora cross-border».
L’ultimo suo intervento in Italia è stato a Roma per il congresso mondiale Iba (International bar association) con un seminario dedicato alle applicazioni di questo strumento negli studi legali.
Avvocato Alfandary , cos’è l’intelligenza culturale ?
Facciamo un esempio: oggi possiamo avere una conversazione skype in contemporanea con un avvocato inglese, un partner italiano, un uomo d’affari cinese e un banchiere americano. La lingua del meeting sarà l’inglese , ma io non credo che senza uno sforzo di intelligenza culturale, o meglio di “cross cultural intelligence” queste persone si capiscano davvero.
Perché per un avvocato è cosi importante oggi sviluppare questa competenza?
Per i legali, così come per i profesionisti in genere, l’eccellenza tecnica è ormai solo un punto di partenza. Conta l’insieme del servizio e in ambito internazionale questo dipende anche dalla comprensione profonda della cultura della persona con cui trattano. Non si può parlare a un cliente italiano, come si parlerebbe a un coreano. Per un’ incomprensione possono sfumare contratti milionari.
Quali sono le principali differenze culturali che un avvocato internazionale fronteggia?
Le differenze sono nel modo in cui pensiamo: induttivo per il mondo anglosassone e deduttivo per i paesi di civil law, come la Francia o l’Italia ad esempio. Generalizzando, a un cliente americano che chiede un parere legale non si può rispondere in 20 pagine. Penserebbe: «Mi stanno facendo perdere tempo e denaro! Datemi le conclusioni in poche righe». Al contrario se il cliente fosse francese e gli consegnassimo quelle stesse succinte righe ci direbbe: «Non sono convinto, mancano le prove del ragionamento».
Qual è la prima mossa per un professionista internazionale?
A ogni nuovo lavoro con l’estero bisogna fare una due diligence culturale. Non basta conoscere la legge; si deve sapere come comunicano i clienti, se in modo diretto e informale, oppure indiretto. Poi capire le gerarchie: bisogna individuare chi prende le decisioni in azienda.
E un professionista italiano a cosa deve prestare attenzione? Al di là della nazionalità tutti possono cadere nella trappola della somiglianza: credere che l’altro ragioni come te. E invece tutto è influenzato dalla nostra impronta culturale: il time management, il concetto di urgenza. Pensate alle relazioni: in Medio Oriente vanno costruite nel tempo. Se un avvocato pensa di andare a Dubai, fare una riunione e tornare a casa con un contratto firmato si sbaglia. Serve tempo, bisogna andare a cena con il cliente, parlare per conquistarne la fiducia.
Lei ha già lavorato in Italia anche con alcuni grandi studi legali. Cosa ha insegnato loro?
Non posso fare nomi, ma il metodo è lo stesso per uno studio professionale così come per una multinazionale. Nella masterclass porto tutti a ragionare sulle differenze. Certo non possiamo annullarle, ma se le capiamo possiamo riavvicinarci.
Ma davvero oggi in un mondo globale le differenze culturali sono ancora così importanti?
Certo oggi i giovani viaggiano, vanno in Erasmus, ma io credo che culturalmente viviamo tutti ancora in villaggi. Ci sono passi avanti, ma le distanze restano.
Come impatta la tecnologia sulle relazioni e sul modo di comunicare? Il problema vero sono le mail. Possono essere facilmente male interpretate. Io scrivo da Londra, tu leggi da Roma, non ci guardiamo in faccia. Agli avvocati do un consiglio: se nella mail ci sono brutte notizie per il cliente o se gli chiedete di prendere una decisione, per favore, fate anche una telefonata. Un minuto dopo averla spedita.
‘‘ Prima di ogni incarico l’avvocato deve conoscere il sistema gerarchico del Paese in cui va a operare