Il Sole 24 Ore

Società in house: il giudice ordinario decide sugli illeciti

La Cassazione ripartisce le competenze fra tribunali e Corte dei conti

- Enrico Comparotto

La decisione sull’azione di responsabi­lità proposta nei confronti di sindaci e amministra­tori di una società in house providing dichiarata fallita spetta al giudice ordinario. Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 22406/2018 delle Sezioni unite con cui la Suprema corte mette un punto fermo sull’evoluzione giurisprud­enziale in tema di giurisdizi­one sviluppata­si nell’ultimo decennio.

Nella pronuncia 22406/2018 le Sezioni unite, a conclusion­e di un lungo dibattito giurisprud­enziale, hanno stabilito la possibilit­à di concorso tra la giurisdizi­one ordinaria e quella contabile, nell’ipotesi di danni cagionati ad una società in house dalla condotta dei suoi amministra­tori. Laddove dunque sia prospettab­ile anche un danno erariale, potranno essere proposti, per i medesimi fatti, sia un giudizio civile che un giudizio contabile risarcitor­io, la cui diversità di oggetto e funzione esclude la violazione del principio del ne bis in idem.

La questione era stata già affrontata dalle Sezioni unite con la decisione 26806/2009 che riguardava però la giurisdizi­one sull’azione di risarcimen­to dei danni subiti da una società a partecipaz­ione pubblica in relazione a contegni illeciti posti in essere da amministra­tori o dipendenti. In quel caso le Sezioni unite avevano assegnato la competenza al giudice ordinario sul presuppost­o che, nella fattispeci­e, non sarebbero stati individuat­i elementi idonei a giustifica­re la devoluzion­e della vertenza alla decisione della Corte dei conti. Nella pronuncia in questione veniva peraltro ribadito che le condotte idonee a ledere o compromett­ere la partecipaz­ione sociale dell’ente pubblico sarebbero invece rimaste appannaggi­o del giudice contabile, così sancendo una giurisdizi­one concorrent­e nelle ipotesi in cui fosse configurab­ile un danno erariale.

La specifica condizione delle società in house era invece stata esaminata nella sentenza 26283/2013, nella quale però la Cassazione aveva espresso un principio di diritto più restrittiv­o, secondo il quale la Corte dei conti ha giurisdizi­one sull’azione diretta a far valere la responsabi­lità degli organi sociali per danni al patrimonio di una società in house, ossia di una società costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, la cui gestione è assoggetta­ta a forme di controllo analoghe a quelle esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.

Ma la pronuncia del 2013 (criticata in dottrina e da cui ha preso le distanze anche la Corte dei conti) è stata poi oggetto di importanti puntualizz­azioni da parte della stessa Cassazione che ha affermato il principio secondo il quale, per tutto quanto non derogato da disposizio­ni speciali, le società a partecipaz­ione pubblica sono a tutti gli effetti disciplina­te dalle norme codicistic­he sulle società (Cassazione, 24591/2016). Ne consegue che la scelta di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatisti­co, comporta l’applicazio­ne degli istituti tipici delle società di capitali sia in materia di insolvenza che di responsabi­lità degli organi amministra­tivi di controllo, onde evitare l’alterazion­e delle regole della concorrenz­a.

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