Milano, inchiesta sui conti all’estero Germania, BlackRock sotto tiro
Nel mirino la svizzera Pkb per riciclaggio e frode Altre banche ai raggi X
Dopo Credit Suisse, un’altra banca estera nel mirino della magistratura milanese: 18 manager della svizzera Pkb Privatbank sono indagati in un’inchiesta che ipotizza i reati di riciclaggio e frode fiscale. In particolare, 198 clienti italiani avrebbero portato 409 milioni a Lugano per nasconderli al Fisco per poi farli “riemergere” con la voluntary disclosure. Il pm Greco: «Stiamo monitorando altri istituti stranieri».
Guai giudiziari anche per BlackRock: la filiale tedesca di Monaco è stata perquisita nell’ambito di un’indagine su transazioni “cum-ex” (scappatoia che permetteva di richiedere rimborsi su imposte pagate sui dividendi azionari) negli anni 2007-2011. La vicenda sta suscitando vasta eco perché Friedrich Merz, candidato alla guida della Cdu, è anche il presidente del Consiglio di vigilanza della BlackRock tedesca, anche se solo dal 2016.
Diciotto manager della banca elvetica Pkb Private bank sotto inchiesta, perquisizioni effettuate nella sede milanese della banca e acquisizioni di file nella sede della controllata Cassa Lombarda. Sono i primi esiti di una complessa indagine congiunta, condotta dalla Guardia di Finanza di Milano e dal Settore contrasto illeciti dell’Agenzia delle Entrate. I reati ipotizzati sono di natura fiscale, ma si contesta anche il riciclaggio e pure l’allestimento di una stabile organizzazione occulta. In un comunicato diffuso in serata la banca nel prendere atto delle indagini incorso fa sapere di ritenere «che la Banca e i suoi collaboratori abbiano sempre operato nel rispetto delle normative vigenti». L’attività investigativa, coordinata dal procuratore di Milano Francesco Greco e dal pm Elio Ramondini, è nata dall’analisi della documentazione prodotta da 198 imprenditori clienti della banca, che hanno aderito alla voluntary disclosure facendo riemergere disponibilità all’estero per 409 milioni. Sino a questo momento gli inquirenti hanno ascoltato le testimonianze di una cinquantina di clienti della banca (non indagati in quanto aderenti alla “sanatoria” fiscale) e hanno ricostruito una rete di 1,5 milioni di contatti telefonici, convincendosi che, grazie alla presenza a Milano della controllata Cassa Lombarda, la Pkb avesse impiantato sul territorio italiano una rete di consulenza, finalizzata - ritengono - all’esportazione clandestina di capitali. Il network era formato dai 18 consulenti ribattezzati “relationship manager” il cui compito era quello di tenere i contatti con i clienti, visitandoli a domicilio, evitando così loro le seccature (e i rischi) di continui viaggi a Lugano. Una prassi già incontrata in un’inchiesta precedente: quella aperta sul Credit Suisse nel 2014. Nel corso di quell’indagine era stato rinvenuto a un manuale di comportamento per i consulenti con precisi suggerimenti per evitare di essere ascoltati, seguiti, tracciati, registrati, pedinati e perquisiti. Ed è proprio da quell’inchiesta, a suo tempo seguita dal Pm Gaetano Ruta, che era emerso un sistema di evasione ed elusione fiscale basato su investimenti in polizze unit link basate alle Bermuda. In quella fase gli uomini della Banca d’Italia a supporto della Procura di Milano, guidati da Nicola Mainieri, avevano scoperto che otto dei 14 miliardi depositati all’estero dai clienti italiani di Credit suisse (di cui 7mila ancora in attesa di identificazione) erano stati investiti proprio in quelle polizze finanziarie caraibiche. La caratteristica che accomuna le due inchieste, quella su Pkb e su Credit Suisse, è quella di scaturire dall’osservazione di un rodato «sistema» da parte di banche straniere attive in Italia, ed è per questa precisa ragione, che non si esclude di potere estendere ad altre insegne internazionali del credito. Nel caso di Pkb tra le operatività messe nel mirino da parte degli investigatori spicca anche le modalità di finanziamento della clientela italiana: linee di credito accese a favore dei correntisti dietro garanzia di giacenze già depositate all’estero. La mancata dichiarazione delle ritenute d’acconto sugli interessi versati dagli affidati farebbe emergere in capo alla banca il reato di omessa dichiarazione. A tal proposito il procuratore Greco ha sottolineato come «sei istituti di credito stranieri hanno aderito alla voluntary proprio in relazione alle tasse che non avevano versato sui finanziamenti a clienti italiani con i conti all’estero e altre banche si stanno facendo avanti, mentre prima non avevano mai fatto una dichiarazione dei redditi in Italia». In ogni caso la vasta base dati a disposizione dei magistrati dopo la voluntary e, soprattutto dopo l’entrata a regime dello scambio automatico di informazioni), sta dando già indicazioni sulle cifre in ballo: 1,1 milioni di conti di italiani negli istituti esteri (di cui 400mila nella sola Svizzera) per un capitale stimato di 85 miliardi.