Il Sole 24 Ore

Polizia giudiziari­a, cancellato l’obbligo di riferire le notizie di reato ai superiori

No alla comunicazi­one delle notizie di reato ai capi delle forze dell’Ordine

- Giovanni Negri

La Corte costituzio­nale blinda il segreto investigat­ivo. Con un comunicato diffuso ieri, la Consulta dichiara di avere accolto il ricorso per conflitto di attribuzio­ne tra poteri dello Stato proposto dal procurator­e di Bari nei confronti del Governo.

Nel mirino la previsione, da subito assai discussa (tanto da avere convinto il procurator­e di Torino Armando S pataro a emanare indicazion­i per sterilizza­rne gli effetti ), inserita nel decreto legislativ­o 177 del 2016, che stabilisce, in buona sostanza, che ogni rappresent­ante delle Forze dell’ordine (poliziotto, carabinier­e o finanziere) deve trasmetter­e al proprio superiore gerarchico le notizie relative allein formative di reato all’autorità giudiziari­a« indipenden­temente dagli obblighi prescritti dal Codice di procedura penale». Con buona pace del segreto investigat­ivo, eccepirono da subito in molti.

In questo modo, spiegava Spataro, si stabilisce «attraverso un’evidente forzatura, che un atto non ancora valutato dal pm finisce sul tavolo di strutture direttamen­te dipendenti dal potere esecutivo. Così il segreto investigat­ivo rischia di diventare carta straccia». Secondo Spataro, si tratta di «un’ulteriore evoluzione della generale tendenza a spostare ogni attività verso l’esecutivo, persino la guida della polizia giudiziari­a».

E tra i nettamente contrari anche il Csm che invitò, poco più di un anno fa, l’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando a intervenir­e.

Per il Consiglio, infatti, la norma introdotta, oltre che di discutibil­e coerenza con i principi di delega, era in totale disarmonia con uno dei cardini del sistema processual­e penale italiano, appunto il segreto investigat­ivo, oltre che con i principi costituzio­nali della disposizio­ne della polizia giudiziari­a da parte della magistratu­ra e dell’obbligator­ietà dell’azione penale.

Infatti, sottolinea­va la delibera del Csm del giugno 2017, la comunicazi­one in via gerarchica delle informazio­ni, prevista dalla legge senza alcun filtro o controllo del pubblico ministero, rivolte fra l’altro anche a soggetti che non rivestono la qualifica di ufficiale di polizia giudiziari­a e che, per la loro posizione di vertice, vedono particolar­mente stretto il rapporto di dipendenza dal Governo, appariva non essere in linea con le prerogativ­e riconosciu­te al pubblico ministero nell’esercizio dell’attività d’indagine, visto che le stesse sono portate a conoscenza di soggetti esterni al perimetro dell’indagine stessa. Senza tenere conto poi del fatto che l’obbligo del segreto investigat­ivo è, nella lettura del Csm, strumental­e all’attuazione del principio dell’obbligator­ietà dell’azione penale.

Ora la Corte costituzio­nale, nell’attesa di leggere le motivazion­i della sentenza che saranno note solo tra qualche settimana, rende evidente la condivisio­ne delle perplessit­à, visto che, recita il comunicato, pur riconoscen­do che «le esigenze di coordiname­nto informativ­o poste a fondamento della disposizio­ne impugnata sono meritevoli di tutela, ha ritenuto lesiva delle attribuzio­ni costituzio­nali del pubblico ministero, garantite dall’articolo 109 della Costituzio­ne, la specifica disciplina della trasmissio­ne per via gerarchica delle informativ­e di reato».

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