Ubi regge l’urto sui BTp, profitti a 260 milioni
Massiah conferma i target: sui costi «probabilmente batteremo il piano»
Ubi conferma in pieno la propria solidità patrimoniale, nonostante il mare in tempesta dello spread, e una buona capacità di generare profitti, anche grazie alla tenuta sotto il profilo dei costi. L’istituto guidato da Victor Massiah ha chiuso il terzo trimestre del 2018 con un utile di 38,5 milioni (contro i 101,1 milioni del secondo trimestre e i 37,3 del terzo trimestre 2017), e nei primi 9 mesi del 2018, al netto delle poste non ricorrenti, mette al sicuro 260,6 milioni di utile, il miglior risultato degli ultimi 10 anni. Un risultato realizzato al netto delle voci non ricorrenti legate all’accordo sindacale firmato a settembre 2018 (36,9 milioni netti nel trimestre) e alle perdite (43,8 milioni netti) relative alla cessione delle tranches mezzanine e junior della cartolarizzazione di sofferenze, che ne ha consentito il deconsolidamento di 2,75 miliardi di Npl. Si tratta di 80 milioni circa di costi una tantum che inevitabilmente pesano sul dato finale del trimestre (l’utile netto incluse le componenti non ricorrenti si è attestato a 1,6 milioni), ma pur in presenza dei quali la banca dimostra di generare una componente economica positiva. Merito, in particolare, di un notevole controllo sui costi: la banca ha registrato oneri operativi per 607,5 milioni nel terzo trimestre contro i 601,4 del trimestre precedente ma nel conto è considerato anche l’impatto dei maggiori contributi obbligatori, inclusa la stima di 38,9 milioni di contributo ordinario al Fondo di Tutela dei Depositi contabilizzati nel periodo. Di fatto Ubi è riuscita a compensare i maggiori costi per la tenuta del sistema con un calo delle poste operative: al netto dei contributi registrati nei due trimestri, gli oneri operativi risultano infatti in discesa trimestre su trimestre di circa 25 milioni (-4,2%). E in prospettiva, ha spiegato Massiah in conference call, sui costi «probabilmente batteremo il piano». A scendere, come prevedibile, è anche il costo del credito. Il miglioramento delle condizioni macro e la pulizia del portafoglio ha fatto sì che nel terzo trimestre dell’anno siano state fatte rettifiche di valore nette sui crediti per 123,8 milioni di euro: il costo del rischio annualizzato scende a 55 punti base, contro i 62 del secondo trimestre. Lo stock dei deteriorati netti scende a 6,37 miliardi dai 7,14 miliardi di fine giugno, mentre è in rampa di lancio una seconda cessione di crediti, principalmente unsecured, che dovrebbe chiudersi entro inizio 2019 e che oggi vede già una decina di possibili pretendenti.
L’altro elemento interessante è legato al capitale. La banca presieduta da Andrea Moltrasio ha mantenuto inalterato il Cet 1 ratio rispetto a giugno (11,42%). Non che lo spread non abbia inciso tecnicamente sul patrimonio: -12 punti base è la stima legata al deprezzamento dei Btp nel trimestre, anche in presenza di una riduzione del portafoglio dei sovrani italiani pari al 6 per cento. Ma l’effetto negativo è stato compensato dalla vendita degli Npl a settembre, dall’ottimizzazione sui modelli interni oltre che da una riduzione degli impieghi. La banca ha peraltro da giocare un’altra carta, ovvero l’estensione del modello Irb alle tre banche acquisite, progetto da realizzare nel quarto trimestre.