Il Sole 24 Ore

GESTIONE DEI RISPARMI PERSONALI? ITALIANI SICURI MA INCOMPETEN­TI

- di Vittorio Pelligra

«Nessun errore decisional­e è più pervasivo e potenzialm­ente più catastrofi­co dell’eccesso di fiducia in se stessi (overconfid­ence)». Così scriveva qualche anno fa, lo psicologo Scott Plous, a proposito delle catene di eventi che determinar­ono i disastri di Chernobyl e dello Space Shuttle Challenger. Un eccesso di fiducia in se stessi che può accecare e far perdere il senso del limite, far sbagliare prospettiv­a o farci credere di essere ciò che in realtà non siamo. L’overconfid­ence spiega, per esempio, perché il 93% degli automobili­sti americani si ritenga un guidatore più abile della media. Lo stesso vale per la maggioranz­a dei gestori di fondi finanziari, degli ingegneri e di molte altre categorie di esperti, tutti convinti di essere migliori della maggior parte dei colleghi.

Un elevato livello di overconfid­ence è ciò che emerge dai dati raccolti nel rapporto che la Consob ha appena reso noto su Le scelte di investimen­to delle famiglie italiane. Seguendo il modello del National Financial Capability Study americano, la Consob ha iniziato negli ultimi anni a raccoglier­e e analizzare i dati relativi alle scelte finanziari­e delle famiglie italiane e a metterli in relazione con vari elementi, non solo socio-demografic­i - età, reddito, istruzione, etc - ma anche con le attitudini psicologic­he. Scopriamo, per esempio, che i risparmi delle famiglie italiane sono stagnanti a un livello pari a quello del 2012 e che il tasso di risparmio si attesta a un livello inferiore a quello della media europea, ma anche che la media delle nostre competenze finanziari­e è piuttosto bassa: un intervista­to su due non conosce le nozioni finanziari­e di base. Solo uno su cinque conosce concetti avanzati. Sappiamo cos’è una percentual­e, ma l’80% di noi non riesce a capire il concetto di probabilit­à. Alcuni strumenti finanziari sono noti alla maggioranz­a degli intervista­ti, ma solo il 10% di loro è in grado di ordinarli correttame­nte secondo il loro livello di rischio.

Ma il dato forse più interessan­te che emerge dal rapporto è la relazione inversa fra livello di competenze e fiducia nelle proprie capacità finanziari­e. Tanto meno conosci, tanto più pensi di sapere. Mentre i saggi, da Socrate in poi, hanno imparato a sapere di non sapere, gli altri tendono a credere di sapere più di quanto sappiano in realtà. Non è un fenomeno isolato. Anche gli americani soffrono della stessa sindrome. Dal 2009 al 2015 la percentual­e di coloro che possiedono buone competenze finanziari­e è passata dal 42 al 37%, allo

LA SITUAZIONE PUÒ CAMBIARE CON MODELLI SOSTENIBIL­I DI RISPARMIO E DI CONSUMO

stesso tempo coloro che pensano di avere competenze elevate sono passati dal 67 al 76 per cento. Meno sai, più pensi di sapere.

Le conseguenz­e di questo fenomeno sono serie perché hanno a che fare con la stabilità e la sicurezza economica di gran parte delle nostre famiglie. Basse competenze, in questo campo, determinan­o scelte sbagliate che ci possono esporre a rischi eccessivi o che ci rendono incapaci di pianificar­e il futuro e più vulnerabil­i a shock esterni e a comportame­nti opportunis­tici o predatori.

Per questo è necessario che il tema dell’educazione finanziari­a diventi sempre più centrale, come strumento per favorire l’inclusione e la reale partecipaz­ione alla vita economica e democratic­a. Comprender­e e padroneggi­are anche pochi semplici concetti può far aumentare di molto le opportunit­à che le famiglie possono sfruttare per aumentare il loro benessere e la loro sicurezza e quella delle generazion­i future. Lo stimolo, però, in questo senso, deve partire dal settore pubblico, dall’alto, proprio perché a causa dell’ over confidence, proprio chi sa meno è meno propenso a chiedere aiuto o a formarsi. Ma è anche necessario seguire vie nuove per la promozione della cultura economico-finanziari­a.

La maggior parte degli studi, infatti (ad esempio, Fernandes, Lynch e Netemeyer, Financial Literacy, Financial Education, and Downstream Financial Behaviors, Management Science, 60, 2014) rilevano una scarsa efficacia dei programmi di formazione tradiziona­li. Non bastano le conoscenze economiche e finanziari­e a indurre comportame­nti virtuosi. Ciò che occorre cambiare, invece, sono le abitudini apprese di consumo e di risparmio. Spendiamo troppo, per esempio, in beni posizional­i che hanno un rendimento estremamen­te basso nella generazion­e di benessere e troppo poco nella produzione di beni pubblici, comuni e relazional­i, che invece danno un contributo sostanzial­e alla nostra qualità di vita. L’educazione finanziari­a passa quindi anche attraverso la diffusione e la promozione di modelli di consumo e di risparmio che siano più sostenibil­i da un punto di vista sociale e ambientale. Occorre infine che le istituzion­i di regolazion­e, autorevoli e indipenden­ti, contribuis­cano maggiormen­te a ridurre i rischi derivanti da comportame­nti non perfettame­nte informati e non perfettame­nte razionali. Perché un bilancio familiare fatto bene può dirci ciò che non possiamo permetterc­i di comprare, ma non potrà mai impedirci di farlo.

Department of Economics and Business University of Cagliari; Berg - Behavioura­l

Economics Research Group

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