Il Sole 24 Ore

STRETTA ANTISPIA DI TRUMP ALLA RICERCA UNIVERSITA­RIA

Secondo il South China Morning Post la stretta è iniziata alla Johns Hopkins Allo studio procedure più rigide sull’accettazio­ne di scienziati stranieri

- Di Riccardo Barlaam

In epoca di tensioni tra gli Usa e Pechino, accade che una prestigios­a università americana blocchi due ricercator­i cinesi per paura che informazio­ni sensibili e progetti di studio prendano la strada della Cina. Succede alla scuola di specializz­azione di medicina della Johns Hopkins di Baltimora.

Un episodio che rischia di non rimanere isolato. La Casa Bianca ha infatti avviato iniziative per limitare l’ingresso di studenti universita­ri, specializz­andi e ricercator­i cinesi. Accusati di rubare i segreti della proprietà intellettu­ale americana.

Il muro che, mattone dopo mattone, l’amministra­zione Trump sta alzando va contro la logica che sottostà ormai alle ricerche scientific­he nell’era globale, dove la collaboraz­ione tra scienziati di diversi Paesi è diventata la norma. Le iniziative anti cinesi sono partite da Washington. Via via si diffondono nelle università e nei centri di ricerca tecnologic­a.

La Scuola di specializz­azione di Medicina della Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland, ha bloccato un programma di scambi con due ricercator­i cinesi per i rischi sulla proprietà intellettu­ale, in risposta a una indagine federale lanciata dal National Institutes of Health (Nih), l’agenzia federale che supervisio­na i programmi di ricerca in Medicina. «Per questo motivo la Johns Hopkins School of Medicine ha temporanea­mente bloccato la nomina di due visiting professor cinesi nel dipartimen­to di Neurologia a causa di preoccupaz­ioni espresse dal Nih alla ricerca biomedica e alla perdita di proprietà intellettu­ale» ha scritto il giornale cinese South China Morning Post. La notizia non è stata ripresa dalla stampa americana. La portavoce dell’università Jennifer Nicolas, contattata, non ha rilasciato dichiarazi­oni.

Adagostoil­direttored­ellaNihFra­ncis Collins è stato ascoltato dalla Commission­e sanità del Senato Usa sulla necessità di introdurre procedure più rigide per accettare i ricercator­i stranieri nei programmi di ricerca finanziati dallo Stato. Collins ha propostola creazioned­i nuovo Comitato per migliorare la selezione dei progetti di scambio Usa-Cina. E dopo l’ audizione ha inviato una lettera a 10mila istituzion­i accademich­e e di ricerca legate alla medicina per indagare sulle font idi finanziame­ntodei programmi di scambio e anche per lanciare una lert.LaScuol adi medicina dellaJohnH­opkins ha attivato un’ unità anti-frode ed è statala prima ad alzar el amano: sarebbero stati alterati i documenti con cuidu eri cercatori cinesi indicano le fonti di finanziame­nto. Ma non c’ è niente di segreto. Il governo cinese nel 2008 ha lanciato un piano chiamato“Migliaia di talenti” per promuovere l’ alta formazione deiri cercatori cinesi all’ estero e non è un miste roche ne finanzi la formazione e la permanenza all’estero. Il piano da allora ha aiutato circa 7mila ricercator­i cinesi a studiare fuori dalla Cina, gran parte sono arrivati negli Stati Uniti.

La stretta americana sugli scambi accademici si aggiunge a quella sui visti: a giugno il Dipartimen­to di Stato ha deciso una restrizion­e nelle politiche di rilascio dei visti per i laureati che arrivano negli Usa per specializz­arsi. La nuova policy è estendere la durata dei visti, finora concessi per 5 anni, solo per un anno.. Insomma, l’America first di Trump traslata alle accademie. Cosa che ha complicato non poco la vita dei migliaia di ricercator­i stranieri, non solo cinesi, che intraprend­ono un percorso di studio pluriennal­e: a fine anno sono costretti a uscire dagli Stati Uniti, facendo un passaggio in Canada, per poi rientrare con un visto turistico in attesa del rinnovo. Rinnovo che è diventato sempre più complesso. I visti di un anno vengono applicati ai ricercator­i di aviazione, robotica, e ingegneria meccanica. Ma verranno presto allargati ai programmi di specializz­azione di matematica, scienze, tecnologia. Il motivo ufficiale è la “sicurezza nazionale” in cui può rientrare tutto.

Il muro dell’amministra­zione Trump però può rivelarsi un clamoroso autogol. La Cina ha un’arma micidiale in mano che è quella dei flussi turistici, nei quali rientrano anche i viaggi per motivi di studio. I cinesi lo scorso anno hanno speso 60 miliardi di dollari negli Usa. Da maggio a settembre di quest’anno i cinesi che hanno ottenuto un visto turistico sono stati 102mila: il 13% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017 stando al Dipartimen­to di Stato. Un boicottagg­io del governo cinese a viaggiare negli Usa potrebbe costare molto caro.

Negli ultimi quindici anni la ricerca cinese è salita al secondo posto al mondo per numero e qualità di pubblicazi­oni, dietro proprio agli Usa. Fino agli anni 80 Pechino pesava per appena l’1% sul totale della ricerca scientific­a mondiale. Adesso arrivano dalla Cina il 16% delle pubblicazi­oni scientific­he. Una ogni sei circa: 1,8 milioni di articoli pubblicati all’anno. Gli scambi culturali tra università e i progetti condivisi sono diventati la regola, favoriti proprio dalla presenza di ricercator­i cinesi nei laboratori delle università americane e delle aziende hi-tech california­ne. Sono sempre meno frequenti le pubblicazi­oni firmate da un solo scienziato. Per dire: la ricerca che nel 2012 ha portato alla scoperta del Bosone di Higgs è stata firmata da tremila scienziati di tutto il mondo. Cinesi compresi.

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AP Scienza e proprietà intellettu­ale.Il sistema chirurgico Da Vinci, dell’americana Intuitive Surgical, all’Expo di Shanghai

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