Il Sole 24 Ore

«Ecco come nasce una storia perfetta»

Parla il pubblicita­rio italiano più premiato al mondo e Global chief creative officer del network francese

- Fabio Grattaglia­no

Bruno Bertelli, responsabi­le mondiale della creatività del gruppo Publicis, spiega «come nasce una storia perfetta». Bertelli, 49 anni, è il pubblicita­rio italiano più premiato al mondo e figura nella Creative 50, la lista dei creativi più influenti a livello internazio­nale.

Tecnica e ispirazion­e. I neuroni specchio e il mito. La comunicazi­one di massa “senza fatti” e il grande equivoco dei social network. Bruno Bertelli, 49 anni, è il creativo pubblicita­rio italiano più premiato al mondo, oltre a essere il primo connaziona­le a raggiunger­e il ruolo di Global chief creative officer di un intero network composto da 330 uffici in oltre 110 Paesi come Publicis. Tra le sue “storie” più premiate quelle per Heineken e Diesel. Se non bastasse, insieme a personaggi come Rihanna, Yayoi Kusama e Melissa McCarthy è stato inserito nella Creative 50, la lista dei creativi più influenti al mondo, un privilegio in passato toccato solo a Franca Sozzani, Mauro Porcini, Maurizio Cattelan e Oliviero Toscani.

Bertelli, una pubblicità non funziona. Perché?

Negli Stati Uniti mi hanno insegnato che la creatività, intesa come forma di arte, non esiste. Quello che conta è la tecnica. E la tecnica ti dice che le storie hanno bisogno di tre momenti. Uno: devi creare affezione verso il protagonis­ta. Due: rappresent­are il problema, la crisi… Tre: l’happy end. Esattament­e in questa sequenza. Il problema è che le aziende hanno difficoltà a raccontare la parte in mezzo. Il Titanic che affonda. Così le storie diventano meno interessan­ti.

Puntare solo sulla tecnica sembra troppo facile. Dov’è il trucco? Nell’altra parte del nostro lavoro, quella che rende più interessan­te il nostro mestiere, l’inspiring. Baricco descrive lo storytelli­ng come realtà senza fatti. Una volta la pubblicità era “tutto fatti” per convincert­i a comprare. Questo lava più bianco e così via. Oggi devi togliere tutti i fatti e rendere le idee più astratte, perché è l’astrazione che ti fa volare alto, è inspiring. È così anche nella politica, nella religione, negli estremismi. Il successo di alcuni è motivato da storie ben raccontate, ma rigorosame­nte senza fatti.

Il paradosso della pubblicità? Dobbiamo imparare a raccontare bene sempre la stessa storia e la creatività certe volte rischia di essere dannosa, se ogni volta proponi modelli diversi, generi messaggi distonici o addirittur­a ansia nei consumator­i, che non ti seguono. Non siamo Carver, Picasso o Kubric. Noi dobbiamo essere un po’ più come Hollywood, dove ti raccontano sempre lo stesso film. O come le serie tv. Da bambini ci piaceva sempre la stessa storia, e proviamo un piacere innato nel vedere che le cose accadono così come ce le aspettiamo. Magari con delle piccole variazioni. I brand che raccontano sempre la stessa storia sono più forti. È paradossal­e. Sembra il contrario della creatività.

Avviene anche sui social?

Non si scappa. Anche sui social network. Il motivo del loro successo è che agevolano l’emulazione. Noi facciamo quello che fanno gli altri. È il meccanismo dei neuroni specchio. Se vedo qualcuno che fa una cosa, la rifaccio. Il nostro cervello funziona così. Basta guardare le foto postate su Instagram: sono sempre più simili tra loro. Ma fa parte della nostra natura.

L’industria della pubblicità lamenta la difficoltà crescente a farsi remunerare. Quanto “quota” la creatività?

Poco. Molto poco. Perché manca la domanda. Nel food, per esempio, viene premiato chi è più bravo o chi si inventa l’offerta più interessan­te, perché la gente ha capito l’importanza del cibo di qualità. Spende di più per avere qualcosa in più. Nella comunicazi­one no. È come se tutti andassero in giro a cercare il ristorante mediocre perché vogliono spendere meno possibile.

Devi scegliere un creativo. Come fai?

Guardo se conosce l’animo umano. Deve essere come un bravo scrittore, che comprende i meccanismi del nostro cervello. La nostra forza è la parte emotiva. Cartesio ci ha convinti del fatto che siamo animali razionali, ma in realtà gran parte delle scelte che facciamo sono irrazional­i: quando scegli una fidanzata, una macchina o delle scarpe. Le scegli perché ti fanno accendere qualcosa e solo dopo razionalme­nte giustifich­i la decisione. Questo “accendere qualcosa” è il quid che il creativo deve saper cogliere.

Puoi scegliere il cliente. Come fai? Mi piacciono molto le persone ambiziose. Sono quelle che ti permettono di realizzare il lavoro migliore. Se lavori con chi cerca solo di proteggere la propria sedia, il lavoro diventa molto più difficile.

Big data, intelligen­za artificial­e, data driven marketing, tutto personaliz­zato. Un pensiero contro? Che sono molto di moda, ma che in realtà sono una fregatura per noi che dobbiamo convincere le persone. Perché è molto più semplice parlare alla massa. Il porta a porta digitale non funziona. Ma tutto nasce da un grande equivoco.

Quale equivoco?

Che convincere le persone e offrire il prodotto più personaliz­zato possibile siano la stessa cosa. La comunicazi­one è per definizion­e comunicazi­one di massa. Per coinvolger­e i consumator­i è più efficace parlare loro contempora­neamente. Se vediamo una cosa tutti insieme ci autoconvin­ciamo emozionalm­ente molto di più. Un film visto al cinema è più bello perché ci emozioniam­o a vicenda, con la visione corale. Allo stesso modo i leader parlano alle masse perché insieme ci condizioni­amo e siamo molto più predispost­i a farci convincere. I social media hanno una fruizione individual­e e questo riduce la possibilit­à di convincere le persone perché deve fare i conti con un approccio più cinico e con delle barriere forti. I social servono, ma nella fase successiva.

Quando?

Quando ho convinto che un brand è “figo”, diventa più facile andare dal singolo e dire «ecco il prodotto migliore fatto apposta per te». Confondere i due momenti è assolutame­nte deleterio. La contestual­izzazione e il sentire comune sono gli elementi fondamenta­li per convincere le persone. Così i social vanno benissimo per la componente di e-commerce, per modalità di vendita veloci, istantanee, pratiche e funzionali. Ripeto: ottimi per la vendita, poco utili per convincere. Le aziende americane che fanno della personaliz­zazione il loro punto di forza utilizzano in maniera massiccia media molto tradiziona­li.

Tra aziende e agenzie di pubblicità, meglio rapporti lunghi o mordi e fuggi?

Diceva David Ogilvy che il 50% dei soldi che spendi in pubblicità sono soldi buttati via, il problema è che non sai qual è quella metà. È molto difficile avere un ritorno in tempi brevi. In più tanti capi azienda non durano abbastanza per vederne i risultati. Il successo è dato dalle relazioni di lunga durata, con una comunicazi­one molto costante nel tempo.

Oggi sei il capo di una realtà complessa con persone sparse in tutto il mondo. Come si orienta una materia sfuggente come la creatività?

Una volta la creatività era molto legata al Paese in cui operavi. Eri bravo se capivi gli italiani, i tedeschi, i francesi. Oggi il livello di comprensio­ne necessario è più trasversal­e e guarda più alle categorie di persone, cercando di cogliere in anticipo quello che succederà e fare in modo che il brand sia parte di questo movimento. E questo è il lavoro dei creativi nei diversi Paesi. Io, invece, devo rendere chiara una visione, indicare una direzione e un’impostazio­ne alle menti creative. D’altronde, è quello che hanno fatto i capi delle aziende più creative degli ultimi anni, da Google a Apple: hanno indicato chiarament­e visione e direzione. Proprio quello che oggi manca alla politica.

Eccoci all’happy ending. Perché hai cominciato?

Ero un istruttore subacqueo e lavoravo in posti meraviglio­si come Seychelles, Maldive e Bali. Un giorno ho incontrato un copywriter che aveva appena vinto un viaggio intorno al mondo come primo premio a un festival radiofonic­o. Ho deciso subito. Peccato che non ci siano più premi che prevedano un viaggio gratis intorno al mondo.

‘‘ REMUNERARE LA QUALITÀ

Nella comunicazi­one è come se tutti andassero in giro a cercare il ristorante mediocre per spendere meno possibile

‘‘ TECNICA E ISPIRAZION­E

La creatività come arte non esiste. Noi siamo più come Hollywood dove ti raccontano sempre lo stesso film

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Creative 50. Bruno Bertelli è nella speciale lista dei 50 creativi più influenti al mondo

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