Eurozona in frenata Lo stop della Germania allarma l’Azienda Italia
Boccia: «Riforme e difesa dell’industria europea per aumentare la crescita»
Frena l’Eurozona. La Commissione Ue stima una crescita nell’unione moneteria dell’1,9% nel 2019 (con l’Italia fanalino di coda) dopo il +2,4% del 2017 e il +2,1% di quest’anno. La Germania subirà un rallentamento, secondo Bruxelles, all’1,8% nel 2019, rispetto alla stima precedente del 2,1 per cento. Lo stop tedesco pesa anche sull’Italia, dato che il tessuto industriale italiano è saldamente interconneso a quello tedesco. Per il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, ieri a Bolzano per il forum annuale con la Bdi, è urgente «difendere l’industria europea per avere sviluppo, avendo chiaro che l’industria Ue è molto più intergrata di quello che si immagina».
Pubblicando ieri qui a Bruxelles le sue più recenti previsioni per il 2019 e per il 2020, la Commissione europea ha preso atto dell’evidente rallentamento economico nella zona euro. Peraltro, i rischi per l’unione monetaria restano elevati, e spaziano dal protezionismo commerciale alle tensioni finanziarie, dai pericoli legati alle politiche economiche dell’Italia alle incertezze derivanti dall’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.
«Tutte le economie dovrebbero crescere quest’anno e l’anno prossimo, tanto da comportare la crescita dell’occupazione – ha spiegato il vice presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis –. Ciò detto, incertezze e rischi, sia interni che esterni, sono in crescita e stanno pesando sull’attività economica». Dal canto suo, il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici ha accolto positivamente i risultati ottenuti sul fronte dei conti pubblici in molti Paesi della zona euro, ma esprimendo cautela sullo scenario internazionale.
In pillole, l’esecutivo comunitario prevede una crescita nell’unione monetaria dell’1,9% nel 2019 e dell’1,7% nel 2020, rispetto al 2,4% del 2017 e del 2,1% nel 2018. L’Italia resta il Paese che cresce di meno nell’unione monetaria, mentre lo Stato membro con l’attività economica più dinamica è l’Irlanda, con un tasso di crescita previsto per l’anno prossimo del 4,5%. La Germania subirà una frenata, secondo Bruxelles, all’1,8% nel 2019, rispetto alla stima precedente del 2,1 per cento.
Al di là delle cifre, è l’analisi della Commissione europea l’aspetto più interessante del pacchetto economico pubblicato ieri. Bruxelles ha potuto notare che l’occupazione è in aumento e che la crescita dovrebbe rimanere sopra al potenziale. Al tempo stesso, non ha potuto non sottolineare i rischi al ribasso. Il primo è certamente il minaccioso protezionismo commerciale, e lo screzio tra Cina e Stati Uniti, dalle conseguenze ancora imprevedibili.
Nel suo rapporto pubblicato ieri, l’esecutivo comunitario mette infatti l’accento su un aumento del deficit delle partite correnti americane che potrebbe scatenare rappresaglie commerciali, con un conseguente aggiustamento disordinato in Cina. Sempre negli Stati Uniti, la politica economica accomodante del Tesoro americano potrebbe comportare un incremento superiore alle attese dei tassi d’interesse, con un impatto negativo sui mercati finanziari.
Tra i rischi, la Commissione vede anche la situazione italiana e la diatriba riguardante il prossimo bilancio dello Stato: «Dubbi sulla qualità e la sostenibilità delle finanze pubbliche nei Paesi membri più indebitati – si legge nel rapporto dell’esecutivo comunitario – potrebbero essere oggetto di un effetto-travaso nel settore bancario, provocando preoccupazioni sulla stabilità finanziaria e frenando l’attività economica». Nel contempo, anche i perduranti negoziati sull’uscita del Regno Unito dall’Unione sono fonte di preoccupante incertezza.
Infine, è da notare che secondo i dati comunitari, nove Paesi della zona euro su 19 registreranno quest’anno un attivo di bilancio (compresa la spesa per interessi sul debito). Saranno 10 nel 2019, e 11 nel 2020. Per completezza, erano otto nel 2017. Il dato dell’anno scorso e la tendenza degli anni successivi sono indicativi di come molti Paesi abbiano capito che finanze pubbliche in ordine sono necessarie in una unione monetaria di stati sovrani che condividono la stessa moneta. In una ottica politica, confermano l’isolamento dell’Italia nel suo braccio di ferro con Bruxelles quanto alla Finanziaria del 2019.