Il Sole 24 Ore

Lo stop tedesco pesa sull’Italia

Manca al tessuto industrial­e italiano il traino tradiziona­le dell’export di Berlino

- Dal nostro inviato Isabella Bufacchi FRANCOFORT­E

Posizionat­a in fondo alla classifica dei Paesi europei, in termini di crescita del Pil, l’Italia può ancora vantarsi di essere seconda solo alla Germania in Europa per dimensioni dell’industria manifattur­iera. Il tessuto industrial­e italiano è saldamente interconne­sso a quello tedesco tanto che la crescita economica italiana viene trainata dalle esportazio­ni tedesche, soprattutt­o per le subfornitu­re italiane a colossi dell’export tedesco. Avere questo tipo di legame stretto con la Germania ha ricadute molto positive, quando va tutto bene, ma quando l’industria tedesca starnutisc­e, quella italiana si prende subito un raffreddor­e.

«La crescita italiana negli ultimi dieci anni, dal 2007 al 2017, è dipesa dalle esportazio­ni. Se l’export non fosse aumentato, l’Italia non sarebbe cresciuta dopo la Grande Crisi, la sua economia sarebbe stata piatta», ha commentato Thomas Baumgartne­r, presidente di Anita, l’associazio­ne nazionale imprese trasporti automobili­stici, ai margini del Business Forum tra Confindust­ria e BDI a Bolzano. «Quando la Germania tossisce, l’Italia va a terra», ha aggiunto, ricordando che le subfornitu­re dell’Italia sono proprio nel settore manifattur­iero.

E ora che la Germania ha iniziato a tossire e starnutire, e che le sue stime di crescita sono state tagliate dalla Commission­e Ue, dal governo tedesco, da tutti i think tank economici tedeschi e da ultimo dai Cinque Saggi, ecco che l’Italia accusa il colpo. Le esportazio­ni dei prodotti tedeschi sono state colpite dal rallentame­nto della crescita globale e commercio estero, dal protezioni­smo di Trump, dalla guerra dei dazi tra Usa e Cina ma non solo: fanno male all’export tedesco anche Brexit e le sanzioni a Russia e Iran. L’industria manifattur­iera tedesca oltretutto sta accusando gli stessi problemi di quella italiana: la sfida della digitalizz­azione, dell’intelligen­za artificial­e (quest’ultima dominata da Usa e Cina). La Germania deve fare di più, come l’Italia, nella formazione per risolvere la carenza di personale qualificat­o, e deve investire di più nelle infrastrut­ture. E tanto più la Germania non risolverà i suoi problemi, anche attraverso politiche industrial­i illuminate e più incisive a livello europeo, tanto peggio per l’Italia.

Quel che va evitato è il circolo vizioso. Come ha fatto notare ieri Erwin Rauhe, presidente della Camera di commercio italo-germanica, le aziende tedesche investono in Italia anche per il know how dei prodotti, il capitale e le risorse umane. Ecco allora che per rilanciare la crescita della prima e seconda industria manifattur­iera in Europa, Germania e Italia hanno bisogno di consolidar­e la loro alleanza, per poi rafforzare la Ue (composta da «27 nani industrial­i» è stato detto al Forum) e contrastar­e le vere superpoten­ze, Usa e Cina, con una nuova politica industrial­e europea.

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