Lo stop tedesco pesa sull’Italia
Manca al tessuto industriale italiano il traino tradizionale dell’export di Berlino
Posizionata in fondo alla classifica dei Paesi europei, in termini di crescita del Pil, l’Italia può ancora vantarsi di essere seconda solo alla Germania in Europa per dimensioni dell’industria manifatturiera. Il tessuto industriale italiano è saldamente interconnesso a quello tedesco tanto che la crescita economica italiana viene trainata dalle esportazioni tedesche, soprattutto per le subforniture italiane a colossi dell’export tedesco. Avere questo tipo di legame stretto con la Germania ha ricadute molto positive, quando va tutto bene, ma quando l’industria tedesca starnutisce, quella italiana si prende subito un raffreddore.
«La crescita italiana negli ultimi dieci anni, dal 2007 al 2017, è dipesa dalle esportazioni. Se l’export non fosse aumentato, l’Italia non sarebbe cresciuta dopo la Grande Crisi, la sua economia sarebbe stata piatta», ha commentato Thomas Baumgartner, presidente di Anita, l’associazione nazionale imprese trasporti automobilistici, ai margini del Business Forum tra Confindustria e BDI a Bolzano. «Quando la Germania tossisce, l’Italia va a terra», ha aggiunto, ricordando che le subforniture dell’Italia sono proprio nel settore manifatturiero.
E ora che la Germania ha iniziato a tossire e starnutire, e che le sue stime di crescita sono state tagliate dalla Commissione Ue, dal governo tedesco, da tutti i think tank economici tedeschi e da ultimo dai Cinque Saggi, ecco che l’Italia accusa il colpo. Le esportazioni dei prodotti tedeschi sono state colpite dal rallentamento della crescita globale e commercio estero, dal protezionismo di Trump, dalla guerra dei dazi tra Usa e Cina ma non solo: fanno male all’export tedesco anche Brexit e le sanzioni a Russia e Iran. L’industria manifatturiera tedesca oltretutto sta accusando gli stessi problemi di quella italiana: la sfida della digitalizzazione, dell’intelligenza artificiale (quest’ultima dominata da Usa e Cina). La Germania deve fare di più, come l’Italia, nella formazione per risolvere la carenza di personale qualificato, e deve investire di più nelle infrastrutture. E tanto più la Germania non risolverà i suoi problemi, anche attraverso politiche industriali illuminate e più incisive a livello europeo, tanto peggio per l’Italia.
Quel che va evitato è il circolo vizioso. Come ha fatto notare ieri Erwin Rauhe, presidente della Camera di commercio italo-germanica, le aziende tedesche investono in Italia anche per il know how dei prodotti, il capitale e le risorse umane. Ecco allora che per rilanciare la crescita della prima e seconda industria manifatturiera in Europa, Germania e Italia hanno bisogno di consolidare la loro alleanza, per poi rafforzare la Ue (composta da «27 nani industriali» è stato detto al Forum) e contrastare le vere superpotenze, Usa e Cina, con una nuova politica industriale europea.