Fisco, investimenti, spread e tagli: i numeri dividono Roma e la Ue
Deficit strutturale al 3% nel 2019 e al 3,5% nel 2020. Clausole Iva fuori dai conti
Nelle due paginette dedicate all’Italia dalle Previsioni d’autunno della commissione Ue, lo spread non si limita a gonfiare la spesa per interessi. Ma si trasmette alle banche, aumenta i costi di finanziamento e stringe la corda sul credito. Gli obiettivi di spending review, anche se rivisti rispetto alle ambizioni iniziali, rischiano di essere mancati, così come si possono fermare sotto ai livelli previsti dal governo gli effetti degli investimenti sul Pil. E le ricadute fiscali della crescita, con gli effetti di «retroazione», continuano a essere trascurati dai modelli econometrici, a Bruxelles come a Roma. Con il risultato che il debito resta inchiodato al 131-131,1% per tutti i prossimi tre anni.
Si è infranto su questi quattro ostacoli il tentativo italiano di convincere la Commissione Ue che il 2,4% di deficit scritto nel programma di bilancio si sarebbe potuto trasformare nei fatti in un numero più piccolo. Anzi, nei calcoli di Bruxelles il 2,4% diventa 2,9%, il saldo strutturale (al netto di una tantum ed effetti del ciclo economico) punta subito al 3% e arriva al 3,5% nel 2020. Anche perché le clausole Iva, che puntellano il programma italiano con 13,5 miliardi nel 2020 e 16 nel 2021, non entrano da anni nei conti europei, perché vengono sistematicamente cancellate dalle manovre.
«Defaillance tecniche» che «dispiace constatare», le ha derubricate il ministro dell’Economia Tria. «Sono numeri imparziali», ha ribattuto il commissario agli Affari economici Moscovici.
Il dibattito su moltiplicatori e deflatori non deve far dimenticare lo scontro politico che si è acceso fra Italia e Ue. Ma è utile evitare anche l’errore inverso, che dà una lettura tutta politica a un’analisi nata dal lavoro tecnico degli economisti della commissione.
L’isolamento dei numeri italiani rispetto a quelli scritti nei programmi di bilancio degli altri Paesi è confermato dalle distanze che separano le stime di crescita. In proporzione, solo il Lussemburgo riceve dalle analisi Ue una correzione più drastica della nostra (1/5), pari a quella indirizzata alla Grecia. Ma l’1,2% indicato ieri colloca la Commissione nella parte alta della forchetta dei previsori, in linea con l’Ufficio parlamentare di bilancio. Sempre ieri l’Fmi si è fermato all’1%, come aveva fatto Bankitalia nel bollettino di ottobre.
Senza eguali nei 19 Paesi dell’Eurozona è invece la distanza sul deficit. A farlo salire fino al 2,9% nell’ottica della Commissione è il «significativo aumento di spesa» prodotto da pensioni e reddito di cittadinanza, anche nella forma con tetto (e con le incognite sul 2020) prevista nella manovra. I prevedibili «ritardi attuativi» e i «colli di bottiglia amministrativi» possono ridurre la spesa effettiva. Ma attenueranno anche gli effetti espansivi delle misure su investimenti e consumi interni.
Il tutto in un contesto nel quale le incognite di politica economica alimentano il vento contrario, insieme alle inversioni di rotta sulle riforme che depongono male anche per la crescita potenziale. Si chiude anche così l’output gap, la distanza fra crescita reale e potenziale che guida il discusso parametro Ue sul deficit strutturale: deficit che infatti vola al 3,5% nel 2020, fuori da ogni parametro.