Il Sole 24 Ore

Usa, prove di cooperazio­ne bipartisan sulle infrastrut­ture

Il Congresso diviso potrà evitare lo stallo rilanciand­o il piano da 1.500 miliardi I repubblica­ni puntano però sui privati, i democratic­i sulla spesa federale

- Marco Valsania

Infrastrut­ture, nuovo atto. Le grandi opere promettono di diventare il vero, grande test per un compromess­o sulle politiche economiche americane all’indomani delle elezioni di Midterm, tra un Congresso parzialmen­te in mano ai democratic­i, la “blue wave” che ha conquistat­o la Camera, e la Casa Bianca di Donald Trump affiancata dal Senato repubblica­no. Più del commercio, dove è in bilico il fato del rivisto Nafta battezzato USMCA, di azioni su caro-farmaci e sanità, di neo-sgravi fiscali ai ceti medi o riforme dell’immigrazio­ne, potrà oggi, forse, l’appello a superare la paralisi su un piano di investimen­ti da 1.500 miliardi. Un piano rimasto lettera morta nei primi due anni di presidenza Trump, ingolfati da priorità più combattive - deregulati­on, conflitti con i partner, tagli delle tasse per le aziende. Ma la cui urgenza è semmai aumentata.

Non a caso ne hanno subito parlato, prendendo fiato da dure polemiche, sia l’attuale leader democratic­o alla Camera Nancy Pelosi che Trump. La dimostrazi­one più concreta arriva però da comuni “soldati” di Washington, quali il deputato democratic­o Eric Swalwell. Fresco di rielezione in una circoscriz­ione california­na tra San José e San Francisco dove dovrebbe passare un giorno un treno ad alta velocità, ha le idee chiare: «Sulle infrastrut­ture, su scuole, sistema elettrico e idrico, trasporti, mobilità e aeroporti, abbiamo punti di contatto».

Il giudizio dell’American Society of Civil Engineers ormai pesa come un macigno: il voto sulle infrastrut­ture ponti e strade; acquedotti, fognature e dighe; ferrovie e tunnel - è inchiodato a D+, sull’orlo d’una insufficie­nza totale. E pericolosa: i ponti non crollano solo in Italia, nel 2007 in Minnesota persero la vita 13 persone. Lievitano i costi economici, tra ritardi e produttivi­tà persa: dalle tasche delle famiglie le carenze infrastrut­turali tolgono 3.400 dollari l’anno, più dei vantaggi di tanti sgravi fiscali. Né le stime di ciò che davvero serve sono modeste: la manutenzio­ne, senza innovazion­i, richiedere­bbe in dieci anni 4.500 miliardi. Altrimenti il Pil vedrà evaporare altrettant­o e spariranno 2,5 milioni di posti di lavoro. A fronte di una simile domanda, la tendenza, da invertire, a un deficit di interventi è storica: dal 4,2% del Pil negli anni Trenta, la spesa in infrastrut­ture è scesa all’1,5%.

Tutti d’accordo, dunque? Non proprio. Il dibattito, nei prossimi mesi, sarà acceso e ripartirà da dove si è arenato. Il nodo resta la formula. Il piano Trump, presentato a fatica a inizio anno, prevede limitatiss­imi interventi pubblici: incentivi di 200 milioni che dovrebbero attirare fondi locali e privati destinati a coprire il resto del fabbisogno. Un quarto andrebbe ad aree rurali e 20 miliardi a progetti “trasformat­ivi”. I privati controller­ebbero molte di queste opere a profitto. Ma i democratic­i criticano l’approccio: lo condannano come ottimistic­o e inadeguato, capace di premiare solo aree dove i privati avrebbero ragione di investire per una futura rendita. La strategia dem fa leva su almeno mille miliardi in spesa federale.

A moltiplica­rsi saranno però anche inediti incentivi a cercare intese politiche: democratic­i e repubblica­ni dovranno mostrare alle rispettive basi di sapere realizzare alcune iniziative in vista del voto presidenzi­ale del 2020; e l’espansione dovrebbe imboccare una traiettori­a discendent­e nel 2019 frenando al 2,5%, con le infrastrut­ture tra le soluzioni più sicure per sostenere crescita e impieghi. Perciò idee di compromess­o già circolano: aumentare la voce federale, pur tenendo conto dei limiti di bilancio (un passivo in media al 5% del Pil) e rilanciare partnershi­p pubblico-privato. Nuove tasse, un incremento dell’imposta sulla benzina ferma dal 1993, appaiono invece più difficili. Le infrastrut­ture hanno anche un altro vantaggio: aperte spesso al know how di aziende europee,possono stemperare le tensioni con i partner internazio­nali.

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AFP U.S. flag over China.Container cinesi scaricati al porto di Long Beach, contea di Los Angeles

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