Gruppo Iva con scarso appeal nella separazione di attività
C’è l’obbligo di fattura tra soggetti distinti senza che questi possano detrarla I problemi nascono dalla scelta italiana del pro-rata generale
Nel mondo europeo dell’imposta sul valore aggiunto, la possibilità di costituire un nuovo e distinto soggetto, denominato “Gruppo Iva”, viene vista con particolare interesse dalle imprese operanti nei settori esenti e in particolare nelle attività finanziarie, cioè bancarie e assicurative.
Prima di esprimere l’opzione per la formazione di un gruppo Iva - da esercitare entro il 15 novembre, se si intende dargli operatività dal 1° gennaio 2019 - occorre riflettere sulle conseguenze enunciate al paragrafo 7 della circolare 19/E del 31 ottobre nel prevedibile caso in cui il gruppo decida di optare per la separazione di attività. Vero è che quest’ultima variante può formare oggetto di una successiva opzione, entro il 31 dicembre, ma è altrettanto vero che la formazione del gruppo Iva senza aver fatto questi calcoli di convenienza rischia di trasformarsi in un boomerang.
Il principale vantaggio dell’Iva di gruppo è quello di evitare la fatturazione tra soggetti giuridicamente distinti, specie per le operazioni imponibili, la cui imposta risulterebbe interamente o quasi indetraibile per la parte prevalente delle società clienti.
L’amministrazione finanziaria ha formulato esempi delle numerose combinazioni possibili, consentendo anche la separazione di attività – a parità di codice Ateco – per soggetti giuridicamente distinti. Il punto critico, che necessita di una attenta valutazione preventiva, riguarda gli effetti della separazione di attività.
Richiamando l’articolo 36, quinto comma della legge Iva, l’Agenzia ne ha innanzitutto rettificato la portata, per renderlo meglio conforme alla logica dell’imposta sul valore aggiunto. La disposizione prescrive infatti la fatturazione tra attività separate, in ogni caso, per i trasferimenti di beni dall’una all’altra, mentre per i servizi è richiesta solo verso attività a detrazione limitata. A questo riguardo l’interpretazione è quella di prevedere la fatturazione interna, sia per i beni che per i servizi, solo verso le attività che non consentono la detrazione piena.
A questo punto passiamo a un esempio concreto, quello relativo alla società appartenente al gruppo che si occupa della gestione organizzativa e informatica.
La maggior parte delle strutture finanziarie gli aveva dato veste consortile, per potersi avvalere della rilevante agevolazione dell’articolo 10, secondo comma, della legge Iva, consistente nella fatturazione esente del servizio. Questa società operativa perde ovviamente l’imposta sugli acquisti da economie terze, necessari per lo svolgimento della sua attività, ma non applica l’imposta – che sarebbe persa dalle società destinatarie delle sue prestazioni – sul suo valore aggiunto, spesso rilevante per l’entità numerica e di costo del personale specializzato.
Attuando la separazione di attività, la società di servizi dovrà invece fatturare con Iva l’intero corrispettivo – a valore normale – delle proprie prestazioni alle attività separate con detrazione limitata, da cui un onere superiore a quello attuale. Non fattura con Iva alle attività con detrazione piena, ma qui il vantaggio è inesistente, anche con riferimento alla possibile adesione alla liquidazione di gruppo dell’articolo 73 della legge Iva.
Possiamo chiederci come mai il gruppo Iva sia così diffuso negli altri Stati. Le criticità del nostro ordinamento risiedono nella scelta normativa del pro-rata generale, e non di quello puntuale, in base al quale ogni attività attribuisce a se stessa gli acquisti specifici, così che solo quelli promiscui cadono nel calcolo del pro-rata generale. È lo stesso criterio previsto all’articolo 109, comma 5, del Tuir nel caso in cui il soggetto d’imposta opera anche con attività che beneficiano di esenzioni o esclusioni.
Bisognerebbe pertanto modificare per tutti i contribuenti la regola del pro-rata generale, rendendola al limite opzionale. Tanto più che nella causa C-378/15, citata nella circolare dell’Agenzia, l’avvocato generale aveva ritenuto illecita la nostra normativa, mentre nella sentenza la Corte non si è pronunciata sul rimedio della separazione di attività, che viene solo citata nel quadro normativo italiano.
Meglio il vecchio consorzio? Peccato che la Corte di Giustizia l’abbia dichiarato illecito con la sentenza del 21 settembre 2017, nella causa C-605/15.
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