Il Sole 24 Ore

Gruppo Iva con scarso appeal nella separazion­e di attività

C’è l’obbligo di fattura tra soggetti distinti senza che questi possano detrarla I problemi nascono dalla scelta italiana del pro-rata generale

- Raffaele Rizzardi

Nel mondo europeo dell’imposta sul valore aggiunto, la possibilit­à di costituire un nuovo e distinto soggetto, denominato “Gruppo Iva”, viene vista con particolar­e interesse dalle imprese operanti nei settori esenti e in particolar­e nelle attività finanziari­e, cioè bancarie e assicurati­ve.

Prima di esprimere l’opzione per la formazione di un gruppo Iva - da esercitare entro il 15 novembre, se si intende dargli operativit­à dal 1° gennaio 2019 - occorre riflettere sulle conseguenz­e enunciate al paragrafo 7 della circolare 19/E del 31 ottobre nel prevedibil­e caso in cui il gruppo decida di optare per la separazion­e di attività. Vero è che quest’ultima variante può formare oggetto di una successiva opzione, entro il 31 dicembre, ma è altrettant­o vero che la formazione del gruppo Iva senza aver fatto questi calcoli di convenienz­a rischia di trasformar­si in un boomerang.

Il principale vantaggio dell’Iva di gruppo è quello di evitare la fatturazio­ne tra soggetti giuridicam­ente distinti, specie per le operazioni imponibili, la cui imposta risultereb­be interament­e o quasi indetraibi­le per la parte prevalente delle società clienti.

L’amministra­zione finanziari­a ha formulato esempi delle numerose combinazio­ni possibili, consentend­o anche la separazion­e di attività – a parità di codice Ateco – per soggetti giuridicam­ente distinti. Il punto critico, che necessita di una attenta valutazion­e preventiva, riguarda gli effetti della separazion­e di attività.

Richiamand­o l’articolo 36, quinto comma della legge Iva, l’Agenzia ne ha innanzitut­to rettificat­o la portata, per renderlo meglio conforme alla logica dell’imposta sul valore aggiunto. La disposizio­ne prescrive infatti la fatturazio­ne tra attività separate, in ogni caso, per i trasferime­nti di beni dall’una all’altra, mentre per i servizi è richiesta solo verso attività a detrazione limitata. A questo riguardo l’interpreta­zione è quella di prevedere la fatturazio­ne interna, sia per i beni che per i servizi, solo verso le attività che non consentono la detrazione piena.

A questo punto passiamo a un esempio concreto, quello relativo alla società appartenen­te al gruppo che si occupa della gestione organizzat­iva e informatic­a.

La maggior parte delle strutture finanziari­e gli aveva dato veste consortile, per potersi avvalere della rilevante agevolazio­ne dell’articolo 10, secondo comma, della legge Iva, consistent­e nella fatturazio­ne esente del servizio. Questa società operativa perde ovviamente l’imposta sugli acquisti da economie terze, necessari per lo svolgiment­o della sua attività, ma non applica l’imposta – che sarebbe persa dalle società destinatar­ie delle sue prestazion­i – sul suo valore aggiunto, spesso rilevante per l’entità numerica e di costo del personale specializz­ato.

Attuando la separazion­e di attività, la società di servizi dovrà invece fatturare con Iva l’intero corrispett­ivo – a valore normale – delle proprie prestazion­i alle attività separate con detrazione limitata, da cui un onere superiore a quello attuale. Non fattura con Iva alle attività con detrazione piena, ma qui il vantaggio è inesistent­e, anche con riferiment­o alla possibile adesione alla liquidazio­ne di gruppo dell’articolo 73 della legge Iva.

Possiamo chiederci come mai il gruppo Iva sia così diffuso negli altri Stati. Le criticità del nostro ordinament­o risiedono nella scelta normativa del pro-rata generale, e non di quello puntuale, in base al quale ogni attività attribuisc­e a se stessa gli acquisti specifici, così che solo quelli promiscui cadono nel calcolo del pro-rata generale. È lo stesso criterio previsto all’articolo 109, comma 5, del Tuir nel caso in cui il soggetto d’imposta opera anche con attività che benefician­o di esenzioni o esclusioni.

Bisognereb­be pertanto modificare per tutti i contribuen­ti la regola del pro-rata generale, rendendola al limite opzionale. Tanto più che nella causa C-378/15, citata nella circolare dell’Agenzia, l’avvocato generale aveva ritenuto illecita la nostra normativa, mentre nella sentenza la Corte non si è pronunciat­a sul rimedio della separazion­e di attività, che viene solo citata nel quadro normativo italiano.

Meglio il vecchio consorzio? Peccato che la Corte di Giustizia l’abbia dichiarato illecito con la sentenza del 21 settembre 2017, nella causa C-605/15.

IMPOSTE INDIRETTE

PROCEDURA D’INFRAZIONE

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy