Il grande influencer fa flop? Il testimonial si trova in azienda
Le comunicazioni vengono condivise 24 volte più frequentemente se provengono da dipendenti piuttosto che dal brand e restano coerenti con la linea narrativa della marca
Anche gli dei nell’Olimpo dei social ogni tanto cadono precipitosamente a terra, richiamati alle loro responsabilità contrattuali. Stavolta è toccato all’idolo Luka Sabbat, definito dal magazine musicale americano Complex il teenager più attraente del mondo, nel passato una breve relazione con la star dei reality Kourtney Kardashian e nel presente 1,4 milioni di follower su Instagram.
Proprio questo “ventenne americano che tutti vorremmo essere” – così l’ha definito Tom Ford – è stato citato in giudizio dall’agenzia PR Consulting. L’accusa è stata riportata dal quotidiano londinese Times. Ed è quella di aver disatteso un accordo commerciale da 45mila dollari che prevedeva un post e tre snack video sulla sua pagina Instagram per promuovere gli occhiali di SnapChat Spectacles. Una vicenda che segue il flop della festa a sorpresa dei coniugi Ferragnez, organizzata in un supermercato milanese della catena Carrefour a fine ottobre e stroncata da una valanga di critiche per l’ostentazione e lo spreco di cibo. A distanza di alcuni giorni sono arrivate anche le scuse della coppia. Analoghe a quelle espresse da Pepsi per un’altra vicenda. La scorsa primavera il colosso dei soft drink aveva messo in scena uno spot con la modella Kendall Jenner in un finto sit-in di protesta. Ma la campagna è stata ritirata, dopo un vespaio di polemiche e un velenoso editoriale del New York Times.
L'avanzata dei micro-influencer
Casi per ora isolati che mostrano però l'usura del fenomeno, nonostante il giro d’affari generato dai volti patinati sia ancora pari a 570 milioni di dollari solo in America. E c’è intanto una generazione che nasce da dentro le aziende ed esce allo scoperto. A raccontarla è stato Advertising Age: si tratta dei micro-influencer, ovvero capi-tribù che approdano persino al piccolo e al grande schermo. Anche perché la metà dei dipendenti sono orientati a pubblicare contenuti che riguardano la propria azienda e il 78% di loro lo fa già almeno una volta a settimana. Mentre le comunicazioni aziendali vengono condivise sui social ben ventiquattro volte più frequentemente se provengono da colleghi piuttosto che dal brand stesso, come ha evidenziato una ricerca dell’agenzia di pubbliche relazioni Msl. Rilanci social che generano business: Forbes ha evidenziato come l’82% dei consumatori di un brand si fidi di più di un testimonial interno. Così la narrazione evolve in people storytelling, scommettendo su autenticità, coerenza, competenza. «Oggi ciò che stupisce non è tanto l’uso degli influcencer, quanto l’abuso. È come se i brand fossero alla ricerca di scorciatoie, utilizzando questi personaggi alla stessa stregua dei testimonial televisivi, nonostante manchi una condivisione del narrato e una coerenza con le piattaforme social», afferma Paolo Iabichino, esperto dei linguaggi della rete e noto sui social come @iabicus. Nel suo ultimo libro “Scripta Volant” di Codice Edizioni Iabichino dedica agli influencer un’intera lettera del suo alfabeto sulla pubblicità. Demolendo questa generazione che si annida sui social. «Oggi le aziende dovrebbero arruolare i micro-influencer non per la reach, ma per la competenza e per la coerenza con la linea narrativa coincidente con quella valoriale della marca. Queste figure oggi si iniziano a trovare non tanto nel marketing o nella comunicazione, bensì negli asset strategici della ricerca e sviluppo», precisa Iabichino.
I migliori people-storytelling
Metterci la faccia per raccontare la propria azienda. Pioniere nel mondo è stato Giovanni Rana, leader nel mercato della pasta fresca. Il volto del fondatore del pastificio è sbarcato persino in America, arrivando a impersonare il pastaio addirittura a Hollywood. Intanto in Generali Italia i dipendenti diventano social ambassador con Storymaker Club, il club dei colleghi che contribuiscono al racconto delle iniziative del brand. Il progetto ha coinvolto 70 dipendenti in 7 differenti iniziative con la produzione di oltre 200 contenuti realizzati sui canali personali. E i numeri sono da capogiro: gli eventi raccontati hanno generato in totale oltre 20.700.000 impression e alcuni materiali sono poi stati raccolti sulla piattaforma storymakerclub.it.
Micro-influencer di prossimità: così il colosso della distribuzione Nordiconad ha aperto centinaia di fanpage con contenuti personalizzati per ogni singolo punto vendita, effettuando una geolocalizzazione mirata delle campagne adv. Protagonisti sono i soci e i loro collaboratori. Il progetto Nordiconad su Facebook è stato realizzato con l’agenzia modenese Tracce e ha coinvolto 140 punti vendita tra Emilia, Liguria, Piemonte e Valle d'Aosta e oltre 1 milione di persone raggiunte dalle campagne Facebook Ads solo nell’ultimo trimestre. «Partendo dal claim nazionale Persone oltre le cose abbiamo creato una continuità tra lo spazio fisico del supermercato e i social, vero alleato nella gestione di una relazione sempre più diretta con il cliente», afferma Loretta Raffaelli, Direttore Commerciale Marketing Nordiconad. Siamo lontani anni luce da quando l’accesso ai social era impedito ai dipendenti. Ma oggi per i brand la vera sfida passa dal racconto al monitoraggio dei contenuti. Perché gli epic fail potrebbero annidarsi in questa moltiplicazione di esternazioni social.