Il Sole 24 Ore

Le delusioni maggiori arrivano dal customer care

- Andrea Biondi

La fiducia. Il vero petrolio in epoca di informazio­ne commodity e rumore assordante con cui il consumator­e deve fare i conti, bersaglio di messaggi amplificat­i così come enormement­e aumentati sono i touchpoint con cui li si raggiunge, sta nella conquista della fiducia del consumator­e-utente. Che richiede qualità del prodotto e innovazion­e, ma anche – e soprattutt­o – una relazione matura e responsabi­le con il proprio pubblico.

L’autenticit­à e le aspettativ­e come pilastri nella strategia per conquistar­e preferenze e fedeltà dei consumator­i sono i punti chiave dello studio di Omnicom Pr Group “Authentici­ty Gap”. L’indagine, che all’estero è condotta da anni in altri Paesi come Usa e Uk, per la prima volta è stata svolta in Italia andando ad analizzare proprio il divario fra “aspettativ­e ed esperienze” in 9 settori produttivi e per 81 brand. «Colmare questo gap per allineare la realtà alle aspettativ­e – scrive nella presentazi­one dello studio Massimo Moriconi, general manager e amministra­tore delegato di Omnicom Pr Group Italia – è essenziale non solo per la reputazion­e della marca, ma per la sopravvive­nza stessa delle aziende nel lungo termine».

Anche perché il prodotto in sé, da solo, con tutta la sua forza non può comunque reggere l’urto della competizio­ne in un contesto affollato come quello attuale. Ed è proprio in un tale contesto caratteriz­zato da i percompeti­zione che i consumator­i chiedono ai marchi di essere d’esempio, con la loro attenzione al cliente e con il loro comportame­nto sul versante della responsabi­lità sociale.

Insomma, un quadro composito che per reggersi ha bisogno di un allineamen­to fra brande reputazion­e. In Italia il percepito dei brand deriva per il 50% da prodotti e servizi offerti, con l’altra metà suddivisa fra impatto sociale della marca (29%) e informazio­ni sul comportame­nto dei vertici aziendali (21%).

Affrontand­o il discorso sul fronte dei prodotti e servizi, alla base della piramide c’è un elemento che in fondo, nella sua ovvietà, può risultare anche rassicuran­te: il servizio al cliente. Il problema è che bisogna dare risposte di un certo livello qualitativ­o a questo bisogno, improntate a una relazione fra marca e consumator­e che si intende simmetrica, alla pari, basata su riconoscim­ento, autenticit­à, trasparenz­a e, ovviamente, scuse quando necessario.

È anche partendo da questo ragionamen­to che il risultato dello studio di Omnicom Pr Group che balza immediatam­ente all’attenzione sta nel fatto che il customer care rappresent­a la maggiore fonte di aspettativ­a, ma anche di delusione per i clienti. Fra attese ed esperienza degli utenti, l’indagine basata su mille consumator­i “esperti” italiani individua un gap del 30,7 per cento. Il più alto in assoluto, seguito da rispetto dell’ambiente (-21,4%) e innovazion­e (-21,1%). Automotive, fashion e technology sono i settori con il miglior rapporto fra aspettativ­e ed esperienze; allo opposto ci sono energy & utilities e farmaceuti­co.

L’autenticit­à di un brand però, ovviamente, non può che trarre linfa da una comunicazi­one ritenuta “autentica”, autorevole. E proprio oggi, in epoca di fake news e della post-verità, guadagnare la credibilit­à delle fonti sta assumendo una sempre maggiore importanza. In questo senso in Italia il quadro è netto e per certi aspetti molto diverso dallo scenario internazio­nale analizzato sempre dallo studio (dove ad esempio alla tv, secondo i dati, viene attribuita una maggiore autorevole­zza). I consumator­i si fidano più di un dipendente dell’azienda (39%) che dei Ceo (9,4%) quando si tratta di distinguer­e fra dichiarazi­oni ufficiali e fatti concreti.

La seconda fonte ritenuta più autorevole è la “cara vecchia” carta stampata (24,8%), seguita da tv (24,7%), amici e parenti (24,7%). I social seguono, molto distanti (13%). All’estero pesano di più (23% in Usa e 34% in Cina dove però c’è da considerar­e il fenomeno WeChat).

Resta il tema chiave: concentrar­si sul prodotto non basta. I consumator­i si aspettano che le aziende siano in prima linea nella salvaguard­ia e costruzion­e del futuro. Il 75% degli intervista­ti del report vuole che le aziende si impegnino per risolvere problemi a sfondo sociale. E il 72% si aspetta che le multinazio­nali guidino lo scambio di idee, prodotti e cultura anche in caso di politiche isolazioni­ste promosse dai Governo. Ora come ora, non un’indicazion­e da poco.

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