Le delusioni maggiori arrivano dal customer care
La fiducia. Il vero petrolio in epoca di informazione commodity e rumore assordante con cui il consumatore deve fare i conti, bersaglio di messaggi amplificati così come enormemente aumentati sono i touchpoint con cui li si raggiunge, sta nella conquista della fiducia del consumatore-utente. Che richiede qualità del prodotto e innovazione, ma anche – e soprattutto – una relazione matura e responsabile con il proprio pubblico.
L’autenticità e le aspettative come pilastri nella strategia per conquistare preferenze e fedeltà dei consumatori sono i punti chiave dello studio di Omnicom Pr Group “Authenticity Gap”. L’indagine, che all’estero è condotta da anni in altri Paesi come Usa e Uk, per la prima volta è stata svolta in Italia andando ad analizzare proprio il divario fra “aspettative ed esperienze” in 9 settori produttivi e per 81 brand. «Colmare questo gap per allineare la realtà alle aspettative – scrive nella presentazione dello studio Massimo Moriconi, general manager e amministratore delegato di Omnicom Pr Group Italia – è essenziale non solo per la reputazione della marca, ma per la sopravvivenza stessa delle aziende nel lungo termine».
Anche perché il prodotto in sé, da solo, con tutta la sua forza non può comunque reggere l’urto della competizione in un contesto affollato come quello attuale. Ed è proprio in un tale contesto caratterizzato da i percompetizione che i consumatori chiedono ai marchi di essere d’esempio, con la loro attenzione al cliente e con il loro comportamento sul versante della responsabilità sociale.
Insomma, un quadro composito che per reggersi ha bisogno di un allineamento fra brande reputazione. In Italia il percepito dei brand deriva per il 50% da prodotti e servizi offerti, con l’altra metà suddivisa fra impatto sociale della marca (29%) e informazioni sul comportamento dei vertici aziendali (21%).
Affrontando il discorso sul fronte dei prodotti e servizi, alla base della piramide c’è un elemento che in fondo, nella sua ovvietà, può risultare anche rassicurante: il servizio al cliente. Il problema è che bisogna dare risposte di un certo livello qualitativo a questo bisogno, improntate a una relazione fra marca e consumatore che si intende simmetrica, alla pari, basata su riconoscimento, autenticità, trasparenza e, ovviamente, scuse quando necessario.
È anche partendo da questo ragionamento che il risultato dello studio di Omnicom Pr Group che balza immediatamente all’attenzione sta nel fatto che il customer care rappresenta la maggiore fonte di aspettativa, ma anche di delusione per i clienti. Fra attese ed esperienza degli utenti, l’indagine basata su mille consumatori “esperti” italiani individua un gap del 30,7 per cento. Il più alto in assoluto, seguito da rispetto dell’ambiente (-21,4%) e innovazione (-21,1%). Automotive, fashion e technology sono i settori con il miglior rapporto fra aspettative ed esperienze; allo opposto ci sono energy & utilities e farmaceutico.
L’autenticità di un brand però, ovviamente, non può che trarre linfa da una comunicazione ritenuta “autentica”, autorevole. E proprio oggi, in epoca di fake news e della post-verità, guadagnare la credibilità delle fonti sta assumendo una sempre maggiore importanza. In questo senso in Italia il quadro è netto e per certi aspetti molto diverso dallo scenario internazionale analizzato sempre dallo studio (dove ad esempio alla tv, secondo i dati, viene attribuita una maggiore autorevolezza). I consumatori si fidano più di un dipendente dell’azienda (39%) che dei Ceo (9,4%) quando si tratta di distinguere fra dichiarazioni ufficiali e fatti concreti.
La seconda fonte ritenuta più autorevole è la “cara vecchia” carta stampata (24,8%), seguita da tv (24,7%), amici e parenti (24,7%). I social seguono, molto distanti (13%). All’estero pesano di più (23% in Usa e 34% in Cina dove però c’è da considerare il fenomeno WeChat).
Resta il tema chiave: concentrarsi sul prodotto non basta. I consumatori si aspettano che le aziende siano in prima linea nella salvaguardia e costruzione del futuro. Il 75% degli intervistati del report vuole che le aziende si impegnino per risolvere problemi a sfondo sociale. E il 72% si aspetta che le multinazionali guidino lo scambio di idee, prodotti e cultura anche in caso di politiche isolazioniste promosse dai Governo. Ora come ora, non un’indicazione da poco.