Rischio doppia beffa per chi valuta l’uscita a 62 anni
Il calo dei mercati si aggiunge al taglio della pensione dovuto all’età
Una doppia beffa, almeno potenziale, ma che rischia di essere molto concreta per quei lavoratori che decidano di anticipare di 5 anni l’uscita dal mondo del lavoro a 62 anni, una volta entrata in vigore la riforma alla Monti/Fornero annunciata dall’Esecutivo. La beffa potrebbe quindi rivelarsi doppia a causa del doppio anticipo temporale e della congiuntura sfavorevole dei mercati finanziari e soprattutto dei titoli di Stato italiani che registrano prezzi in calo da alcuni mesi a questa parte, in particolare a partire dalla presentazione del Contratto di Governo: il BTp decennale benchmark ha ceduto dalla sua quotazione di febbraio fino ad oggi circa il 9%, con punte superiori all’11% ad ottobre. Il che si traduce in un segno meno per il rendimento medio dei fondi pensione (vedi intervista in pagina) e in misura maggiore per quelle linee di investimento più “prudenti”, ossia tradizionalmente a maggior componente obbligazionaria. Complessivamente i fondi pensione detengono attualmente titoli di Stato italiani per un valore di 29 miliardi, pari a circa il 22% del loro patrimonio totale.
Ma non è certo trascurabile l’impatto di quota 100 sull’entità delle pensioni di primo come di secondo pilastro, visto che nel sistema italiano l’assegno pensionistico è correlato ai contributi versati. Anticipare il pensionamento a 62 anni, ossia di cinque anni, comporta una riduzione della pensione di poco più del 20% (vedi anche Il Sole 24 Ore del 22
ottobre). Smettere prima di lavorare, in aperte parole, non è certo a saldo zero per il lavoratore.
Ma in ogni caso questa anticipazione rischia di inficiare scelte contributive e finanziarie pluridecennali, come quelle della previdenza. Anche per questo l’Autorità di vigilanza sui fondi pensione spinge i soggetti vigilati a inserire nelle note informative indicazioni per gli aderenti di passare negli ultimi anni di vita lavorativa sulle linee garantite, per mitigare le oscillazioni di mercato quando si entra nella fase di consolidamento dei rendimenti. Invito che non sempre viene nè letto nè seguito. Tanto che molti fondi pensione hanno introdotto meccanismi di lifecycle, ossia di adeguamento automatico (o previo silenzio/assenso dell’aderente) del profilo di rischio al comparto di investimento.
Il recente innalzarsi dello spread e le oscillazioni dei BTp non hanno modificato più di tanto l’asset allocation dei fondi pensione (che, è il caso di ricordarlo, non investono direttamente sui mercati ma operano affidando un mandato di gestione a operatori professionali). Essendo investitori di lungo termine, i fondi sono focalizzati nel rendere sempre più efficiente la propria diversificazione.
Ma non è trascurabile un’ulteriore beffa per chi ha aderito ai fondi pensione: che molto spesso lo ha fatto non all’ingresso nel mondo del lavoro ma più tardi. Un contribuzione ridotta all’ingresso, unito alle anticipazioni (per oltre 2 miliardi l’anno su un flusso in entrata di 14 miliardi e un patrimonio di 160) e alle interruzioni contributive, (che riguarda un quarto degli iscritti) riduce ulteriormente l’assegno pensionistico complementare.