LO SPAZIO DEL PREMIER NEI CONFLITTI DELLA DIARCHIA
L’immagine che descrive il premier Conte come un vaso di coccio fra due vasi di ferro non descrive esattamente la realtà, ma non c’è dubbio che la situazione attuale sia piuttosto anomala rispetto alla tradizionale formazione dei governi nella prima e nella seconda repubblica. L’unico altro esempio di premier pescato fuori dalla politica dei partiti che formavano la maggioranza governativa è quello di Romano Prodi nel suo primo esecutivo, ma in quel caso si trattava di una personalità che aveva già avuto esperienze ministeriali e ruoli pubblici di peso. I casi dei governi “tecnici” sono ovviamente delle eccezioni.
L’attuale Presidente del Consiglio occupa una posizione scomoda, perché non pare essere lì esattamente per «mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri» come prescriverebbe l’articolo 95 della Costituzione. In molti governi della nostra storia repubblicana quel compito è stato più formale che sostanziale, perché i nostri sono esecutivi di coalizione e dunque devono fare i conti con gli interessi e le pulsioni dei suoi membri. Tuttavia qualcuno ricorderà lo scandalo che si menò quando Craxi rivendicò la presenza nell’esecutivo di “delegazioni” dei partiti con capi delegazione inclusi: formalmente non si accettava che il governo potesse apparire soggetto al suo interno a dinamiche ed esigenze di parte.
Nella fase attuale si è accettato di dare pubblica rappresentazione a questa realtà con continui vertici a tre: il presidente e due vice che agiscono di fatto come co-presidenti e al tempo stesso capi assoluti delle rispettive truppe parlamentari. In democrazia le rappresentazioni pubbliche sono qualcosa di più incisivo delle stesse riforme costituzionali, perché abituano i cittadini ad una diversa organizzazione della sfera politica.
Naturalmente a fare problema non è il fatto che si cerchino mediazioni e compromessi fra le diverse prospettive presenti nella coalizione di maggioranza: quello si è sempre fatto e sempre si farà, almeno fintanto che abbiamo un regime costituzionale rappresentativo. Ciò che crea perplessità è che questa dinamica si attui direttamente nel governo, ad opera di due soli soggetti che godono di una posizione non prevista in costituzione come sovraordinata agli altri ministri e che il presidente del consiglio svolga un ruolo di notaio/mediatore fra i due.
Certo si può notare che ultimamente il presidente Conte cerca di guadagnare una sua qualche visibilità mediatica, per esempio quando invita i suoi vice a confermare che non c’è nessuna intenzione di uscire dall’euro oppure quando si assume la responsabilità della decisione sulla Tap o la mediazione sul condono fiscale. Ma sempre incanalando entro sue specifiche proposte i contrasti che emergono o che potrebbe essere facilmente prevedibile che emergeranno.
Secondo alcuni maliziosi ciò dipende semplicemente dal fatto che Conte è stato “chiamato” in quel ruolo dall’esterno, anzi principalmente da uno dei due membri della coalizione. Tuttavia altri fanno notare che il Quirinale gli ha più volte fatto capire che se voleva essere più incisivo poteva contare su uno scudo istituzionale. Sta di fatto che colui che dovrebbe essere il rappresentante della solidità istituzionale dell’Italia in quanto capo del suo governo, si trova oggi prigioniero di una posizione ambigua di cui dovrebbe liberarsi se vuole svolgere un ruolo sia sul piano interno che su quello internazionale.