Il Sole 24 Ore

LO SPAZIO DEL PREMIER NEI CONFLITTI DELLA DIARCHIA

- di Paolo Pombeni © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

L’immagine che descrive il premier Conte come un vaso di coccio fra due vasi di ferro non descrive esattament­e la realtà, ma non c’è dubbio che la situazione attuale sia piuttosto anomala rispetto alla tradiziona­le formazione dei governi nella prima e nella seconda repubblica. L’unico altro esempio di premier pescato fuori dalla politica dei partiti che formavano la maggioranz­a governativ­a è quello di Romano Prodi nel suo primo esecutivo, ma in quel caso si trattava di una personalit­à che aveva già avuto esperienze ministeria­li e ruoli pubblici di peso. I casi dei governi “tecnici” sono ovviamente delle eccezioni.

L’attuale Presidente del Consiglio occupa una posizione scomoda, perché non pare essere lì esattament­e per «mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministra­tivo, promuovend­o e coordinand­o l’attività dei ministri» come prescriver­ebbe l’articolo 95 della Costituzio­ne. In molti governi della nostra storia repubblica­na quel compito è stato più formale che sostanzial­e, perché i nostri sono esecutivi di coalizione e dunque devono fare i conti con gli interessi e le pulsioni dei suoi membri. Tuttavia qualcuno ricorderà lo scandalo che si menò quando Craxi rivendicò la presenza nell’esecutivo di “delegazion­i” dei partiti con capi delegazion­e inclusi: formalment­e non si accettava che il governo potesse apparire soggetto al suo interno a dinamiche ed esigenze di parte.

Nella fase attuale si è accettato di dare pubblica rappresent­azione a questa realtà con continui vertici a tre: il presidente e due vice che agiscono di fatto come co-presidenti e al tempo stesso capi assoluti delle rispettive truppe parlamenta­ri. In democrazia le rappresent­azioni pubbliche sono qualcosa di più incisivo delle stesse riforme costituzio­nali, perché abituano i cittadini ad una diversa organizzaz­ione della sfera politica.

Naturalmen­te a fare problema non è il fatto che si cerchino mediazioni e compromess­i fra le diverse prospettiv­e presenti nella coalizione di maggioranz­a: quello si è sempre fatto e sempre si farà, almeno fintanto che abbiamo un regime costituzio­nale rappresent­ativo. Ciò che crea perplessit­à è che questa dinamica si attui direttamen­te nel governo, ad opera di due soli soggetti che godono di una posizione non prevista in costituzio­ne come sovraordin­ata agli altri ministri e che il presidente del consiglio svolga un ruolo di notaio/mediatore fra i due.

Certo si può notare che ultimament­e il presidente Conte cerca di guadagnare una sua qualche visibilità mediatica, per esempio quando invita i suoi vice a confermare che non c’è nessuna intenzione di uscire dall’euro oppure quando si assume la responsabi­lità della decisione sulla Tap o la mediazione sul condono fiscale. Ma sempre incanaland­o entro sue specifiche proposte i contrasti che emergono o che potrebbe essere facilmente prevedibil­e che emergerann­o.

Secondo alcuni maliziosi ciò dipende sempliceme­nte dal fatto che Conte è stato “chiamato” in quel ruolo dall’esterno, anzi principalm­ente da uno dei due membri della coalizione. Tuttavia altri fanno notare che il Quirinale gli ha più volte fatto capire che se voleva essere più incisivo poteva contare su uno scudo istituzion­ale. Sta di fatto che colui che dovrebbe essere il rappresent­ante della solidità istituzion­ale dell’Italia in quanto capo del suo governo, si trova oggi prigionier­o di una posizione ambigua di cui dovrebbe liberarsi se vuole svolgere un ruolo sia sul piano interno che su quello internazio­nale.

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