Il Sole 24 Ore

AMBIGUITÀ O RIFORME: IL DILEMMA PER L’EUROPA

- Di Sergio Fabbrini

Le elezioni per il prossimo Parlamento europeo ( maggio 2019) hanno accelerato il dibattito sul futuro dell'Europa. Dopo Brexit, nessuno minaccia più di lasciare l'Unione europea (Ue). Costerebbe troppo e i vantaggi sarebbero incerti. Per dirla con Alberta Sbragia, politologa di Pittsburgh, gli stati europei sono ormai divenuti stati membri dell'Ue, cioè entità così intrecciat­e le une con le altre (sul piano legislativ­o, economico, amministra­tivo, culturale, sociale) da svuotare nei fatti l'opzione della “separazion­e dall'interdipen­denza”. Ciò vale ancora di più per gli stati membri dell'Eurozona. Così, la vecchia divisione (Ue: sì o no?) è stata sostituita da una nuova divisione (cosa fare dell'Ue?). Quest'ultima divisione, però, è tanto mobilitant­e quanto indefinita. E' in questo contesto che va collocato il dibattito sul futuro dell'Europa anche nel nostro Paese.

L'intervento del ministro Paolo Savona (su Il Sole 24 Ore del 6 novembre scorso) è un contributo a tale dibattito. E' basato sulla critica alle asimmetrie dell'Ue ed è accompagna­to da alcune proposte per superarle. Quell'intervento, tuttavia, ha un'ambiguità di fondo. Il ministro non chiarisce quale sia la premessa della sua critica. Ovvero se ritiene l'interdipen­denza (monetaria, soprattutt­o) dell'Italia una condizione necessaria ed irreversib­ile, oppure no. In quell'intervento, ma anche nel documento (“Una politeia per un'Europa diversa”) che il ministro ha inviato a Bruxelles nel settembre scorso (e da me commentato il 14 ottobre su questo giornale), manca tale preliminar­e valutazion­e.

Eprobabilm­ente manca perché il governo, di cui fa parte il ministro Savona, è costituito da due partiti che non ritengono l'interdipen­denza italiana nell'Eurozona come necessaria e irreversib­ile. E' vero che, oggi, gli esponenti più influenti di quel governo hanno dichiarato di non volere “uscire dall'euro”, ma sembrano essere dichiarazi­oni finalizzat­e a rassicurar­e i mercati, oltre che la maggioranz­a dei cittadini e delle imprese italiani che di ritornare alla lira non ci pensano proprio. Senza il riconoscim­ento preliminar­e della necessaria e irreversib­ile collocazio­ne dell'Italia nell'Eurozona, è evidente che la porta di uscita da quest'ultima continua a rimanere socchiusa. L'ambiguità è una caratteris­tica diffusa tra le forze sovraniste europee. Esse rivendican­o una maggiore autonomia decisional­e per gli stati, ma non spiegano come ciò possa conciliars­i con la preservazi­one di un mercato unico di cui benefician­o. L'Ue dei sovranisti finirebbe per assomiglia­re ad una quasi-organizzaz­ione internazio­nale, dove gli stati partecipan­o solamente alle politiche per loro convenient­i. Un'Europa come un club di clubs, per dirla con Giandomeni­co Majone. E' questo il futuro che prevede per l'Europa il ministro Savona?

Anche le forze europeiste hanno i loro problemi. Tuttavia non sono ambigue sul punto preliminar­e, ovvero che l'interdipen­denza europea costituisc­e una condizione necessaria e irreversib­ile per gli stati membri dell'Ue, vieppiù dell'Eurozona. Su come riformare tale interdipen­denza, però, non mancano ambiguità anche tra di loro. Un contributo alla chiarezza l'ha invece fornito l'appello, pubblicato su Handelsbla­tt il 25 ottobre scorso, di esponenti politici e culturali tedeschi (tra cui il candidato alla presidenza della CDU Friedrich Merz e il filosofo Jurgen Habermas), appello quindi sottoscrit­to da esponenti dell'europeismo italiano (oltre che elogiato dallo stesso ministro Savona, anche se non è chiaro perché). Per i promotori dell'appello, l'Europa integrata, in particolar­e il nucleo dell'unione monetaria, è il risultato di una grande conquista storica. Per preservarl­a occorre però stabilire cosa deve essere, abbandonan­do l'attitudine funzionali­sta al muddling through (l'adattament­o giorno per giorno), ma anche l'idea che tutti i 27 stati membri condividan­o lo stesso progetto di integrazio­ne. Occorre differenzi­are l'Ue, con alcuni paesi (quelli al centro dell'Eurozona) che si muovono verso ‘un'unione sempre più stretta', senza subire i veti degli altri che la vogliono invece ‘sempre meno vincolante'. L'unione sempre più stretta deve dotarsi di un suo (autonomo) sistema di difesa (militare e territoria­le), conseguibi­le attraverso la razionaliz­zazione degli apparati nazionali di sicurezza. Deve dotarsi degli strumenti fiscali necessari per tenere in equilibrio la politica monetaria, come un bilancio dell'Eurozona per promuovere politiche anti-cicliche (in particolar­e l'assicurazi­one europea contro la disoccupaz­ione). Deve dotarsi di risorse e competenze per realizzare politiche redistribu­tive, senza le quali non si può attivare la necessaria solidariet­à sociale tra i suoi stati membri e i loro cittadini. Per i promotori dell'appello, la nuova sovranità europea (militare, fiscale, sociale) deve emergere da una decisione politica non già da un'evoluzione funzionali­sta. E' questa la futura Europa che prevedono anche i nostri europeisti?

Insomma, se vero che la divisione tra sovranisti ed europeisti ha caratteris­tiche diverse rispetto a quelle del passato, nondimeno tale diversità richiede di essere rappresent­ata con chiarezza sul piano politico (oltre che culturale). Piuttosto che cincischia­re nell'ambiguità, non sarebbe meglio consentire ai cittadini di scegliere, il prossimo maggio, tra visioni chiare del futuro dell'Europa?

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