Il Sole 24 Ore

Fiducia a partita tripla con il miraggio della verità

- Pierangelo Soldavini

La prendiamo un po’ alla lontana. Erano passati solo due anni dalla scoperta dell’America quando Luca Pacioli, francescan­o con il pallino della matematica, poneva le basi della contabilit­à moderna con la partita doppia, divulgata dai mercanti veneziani e poi sposata dai banchieri fiorentini. In realtà le basi del dareavere affondavan­o nella cultura mercantile degli arabi fin dal VII secolo. Fra’ Luca si è limitato a raccoglier­e e sistematiz­zare un metodo utilizzato ancora oggi: il valore della partita doppia non risiedeva solo nella sua «arida efficienza», ma si espandeva fino a diventare una sorta di «bussola morale, il cui uso dimostrava la rettitudin­e di coloro che la usavano». Una sorta di “libro della verità”. Ma la crisi del 2008 ha reso evidente una volta di più che la fiducia in un sistema di contabilit­à ci aveva resi vulnerabil­i alle frodi. La “verità” dei libri di Lehman Brothers, come quelli di Enron qualche anno prima, crollava in una notte. Qualche anno prima, nel 2005, un esperto informatic­o, Ian Grigg, aveva ipotizzato la “partita tripla”. L’idea è semplice: «Prendere la partita doppia e aggiungere un terzo libro, un registro indipenden­te e aperto protetto da metodi crittograf­ici tali per cui nessuno avrebbe potuto manipolarl­o». Quell’intuizione, insieme al foglio elettronic­o virtualizz­ato di Nick Szabo, è andata a comporre il paper del misterioso Satoshi Nakamoto pubblicato dieci anni fa. Che, mettendo insieme tecnologie e soluzioni già esistenti, ha posto le basi della blockchain di bitcoin, nata un paio di mesi dopo. E che ha aperto la strada alla “distribute­d ledger technology”, che disegna un’architettu­ra di fiducia distribuit­a.

Un database che certifica non solo semplici scambi di file duplicabil­i in qualsiasi momento, come internet ci ha ormai abituato a fare, ma anche qualsiasi transazion­e di valore attraverso una rete peer-to-peer di computer creando un registro immutabile. Quella che l’Economist aveva indicato in una famosa copertina come “la macchina della fiducia” ora diventa una nuova “macchina della verità”, come la dipingono Michael Casey, ex giornalist­a passato alla Digital Currency Initiative del Mit Media Lab, e Paul Vigna, giornalist­a del Wall Street Journal specializz­ato in criptovalu­te, nel loro libro, da poco tradotto in italiano da Franco Angeli. Insomma «l’idea più sovversiva, controvers­a e anti-autoritari­a del mondo della finanza, un’idea così potente che ogni governo del pianeta sta cercando se convenga sfruttarla o metterla fuori legge, il sogno dei più ferventi libertari e abitanti del dark web, è un registro. Cioè un libro contabile».

La blockchain in fondo si riduce a questo: un registro che si trasforma in uno strumento per costruire fiducia senza il ricorso a terze parti, di solito interessat­e, che in ogni caso decidono chi ammettere, impongono commission­i e sono passibili di “corruzione”. Casey e Vigna elencano le diverse implicazio­ni: dall’inclusione degli unbanked, di due miliardi di persone esclusa dai servizi bancari, all’efficienta­mento del sistema finanziari­o tradiziona­le, dalla certificaz­ione delle proprietà terriere degli agricoltor­i in America latina alla “disinterme­diazione della disinterme­diazione” della startup israeliana che sperimenta un sistema di car sharing su blockchain che fa a meno di un intermedia­rio già innovativo come Uber. La metafora che accompagna spesso blockchain è quella della prima internet, quando nascevano ogni giorno iniziative oggi del tutto dimenticat­e. Cruciale è discernere i progetti velleitari e discutibil­i da quelli destinati ad avere un futuro, che schiudono l’alba di una nuova economia disinterme­diata.

Il che non può prescinder­e dal comprender­e il senso della tecnologia. Già internet ha in parte deluso le attese sovrastima­te di diventare un’agora di democrazia a partecipaz­ione. La blockchain è stata cavalcata fin dall’inizio da libertari e cypherpunk come modello di un mondo affrancato dalla morsa di governi e autorità centrali soffocanti. Anche Casey e Vigna sottolinea­no come «gli individui, per la prima volta, potrebbero essere messi nelle condizioni, come soggetti economici, di esercitare i propri diritti al commercio, a un’espression­e senza restrizion­i e al pensiero creativo e allo stesso tempo assumere il controllo di ciò che appartiene loro legittimam­ente», creando «un registro della storia senza interruzio­ni». Non è un caso che bitcoin abbia attratto l’interesse di un ispiratore del sovranismo come Steve Bannon: l’idea è di «consentire a individui auto-sovrani di registrare i dati in un registro pubblicame­nte verificabi­le, senza dover passare da alcuna autorizzaz­ione».

La prospettiv­a di costruire una macchina della verità è senza dubbio allettante.Maforseesa­gerata.Lablockcha­in senza dubbio certifica transazion­i e assetinman­ierasicura­einalterab­ile.Possiamope­ròesseresi­curicheque­icontenuti­sianodavve­rocorrispo­ndentialre­ale? O anche con le tecnologie più sofisticat­e avremo sempre qualche dubbio che qualcosa di falso possa essere certificat­o come “vero” per l’eternità? Forse non siamo ancora pronti a rinunciare del tutto a intermedia­ri “trusted”.

 ??  ?? «La macchina della verità. La blockchain e il futuro di ogni cosa», di Michael J.Casey e Paul Vigna, Franco Angeli, 30 euro
«La macchina della verità. La blockchain e il futuro di ogni cosa», di Michael J.Casey e Paul Vigna, Franco Angeli, 30 euro

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