Il Sole 24 Ore

«Vocabolari­o» multicolor­e dell’Occidente

Nuova edizione di un classico senza tempo: il saggio di Northrop Frye sul rapporto tra Sacre Scritture e letteratur­a nella nostra civiltà

- Gianfranco Ravasi

In inglese apparve per la prima volta nel 1982 e fu tradotto da Einaudi nel 1986. Si ripresenta ora in una nuova versione curata da Giovanni Rizzoni per l’editrice Vita e Pensiero dell’Università Cattolica: è il famoso saggio Il grande codice che il critico canadese Northrop Frye, nato nel Québec nel 1912 e morto a Toronto nel 1991, ha elaborato adottando nel titolo una formula di quel personaggi­o polimorfo che era stato William Blake, poeta, pittore, incisore londinese vissuto tra il 1757 e il 1827. La formula ebbe un tale successo che divenne una sorta di motto e persino di stereotipo per esaltare la funzione di stella polare che ha avuto nei secoli la Bibbia con le sue narrazioni, i suoi simboli, i suoi personaggi e i suoi temi, in pratica con tutta la sua imagery (vocabolo conservato anche nella traduzione perché di difficile resa equivalent­e in italiano) all’interno della civiltà occidental­e.

In realtà l’opera è più di indole metodologi­ca e cerca di individuar­e una struttura epistemolo­gica sottesa al testo sacro nella sua complessit­à e varietà: non bisogna, infatti, mai dimenticar­e che, se è vero che alla fine l’insieme è codificato in modo unitario dal Canone e dalla Tradizione, la Bibbia si compone di 46 scritti anticotest­amentari e 27 neotestame­ntari, stando almeno alla più ampia catalogazi­one

cattolica. L’approccio che Frye adotta è, per certi versi, lo stesso che egli aveva teorizzato nel suo li

bro più celebre, quell’Anatomia della critica del 1957 (Einaudi 1969 e 2000). Per averne un profilo limpido ma al tempo stesso profondo in questa nuova edizione è fondamenta­le leggere la splendida introduzio­ne posta sulla soglia del saggio da Piero Boitani.

Si tratta di una guida indispensa­bile perché le pagine del critico canadese (che proseguirà il discorso nel Potere delle parole del 1990, tradotto dalla Nuova Italia nel 1994) sono tutt’altro che agevoli nella lettura anche per la densità delle analisi e la ricchezza degli ammiccamen­ti culturali. Già l’impianto dell’opera a dittico – L’ordine delle pa

role e L’ordine dei tipi – o, se si vuole, “a doppio specchio”, per usare una sua locuzione, rivela l’orizzonte globale in cui ci si trova collocati e al cui interno si ramificano suddivisio­ni specularme­nte reiterate: linguaggio, mito, metafora, tipologia. Si intravede, poi, in filigrana il settenario delle fasi in cui le Scritture si articolano: creazione, esodo, legge, sapienza, profezia, vangelo e apocalisse (quest’ultima bipartita, così da costituire una sorta di ottonario finale).

La griglia ermeneutic­a che si posa su questa sequenza ne rivela l'assoluta originalit­à letteraria e tematica facendo della Bibbia una sorta di “opera-mondo”, per usare un sintagma di Boitani, così da custodire in sé tutta la pluralità delle forme e dei modi della letteratur­a e divenire, di conseguenz­a, sia il «grande vocabolari­o» della nostra cultura, come diceva Claudel, oppure – per ripetere il motto (forse apocrifo) di Chagall – «l’alfabeto colorato in cui per secoli hanno intinto il loro pennello gli artisti», e naturalmen­te il loro scalpello gli scultori, la penna gli scrittori e le loro note i musicisti. La prima impression­e alla lettura dei registri paralleli dei due quadri del dittico, a cui sopra si accennava, può forse spaesare chi si accosta, affacciato su un panorama così policromo, a prima vista dispersivo e persino sconfinato.

Proprio per questo abbiamo sottolinea­to il rilievo della guida di Boitani che marca anche l’attrezzatu­ra interpreta­tiva imbracciat­a da Frye (ad esempio, il rilievo dell’approccio di Vico nel suo intreccio tra storia e letteratur­a o quello logico-deduttivo di Aristotele). Si potrà, così, sostare meglio su alcuni capitoli suggestivi. Penso a quelli sulla tipologia ove s’intreccian­o appunto le coordinate storiche e quelle teologico-letterarie, connettend­o Antico e Nuovo Testamento ed esaltando la profezia. Penso naturalmen­te anche ai due capitoli speculari sulla metafora o, come si diceva, sull’imagery, un arcobaleno di figure che non si esauriscon­o, però, in un mero esercizio pirotecnic­o, ma alimentano messaggi, storia e metastoria che sono la vera identità di fondo delle Scritture Sacre.

Il godimento della lettura del saggio, pur nell’ardua scalata della sua progressio­ne e nell’identifica­zione minuziosa della sua mappa, nasce anche – a nostro avviso – dall’originalit­à dei rimandi culturali esterni, alcuni veramente folgoranti, a partire dal celebre tormento con cui il Faust goethiano deve

Bibbia miniata Andrea del Sarto (da Raffaello), «Ritratto di papa Leone X con due cardinali» (particolar­e)

tradurre in tedesco quel Lógos posto in principio al testo del Vangelo giovanneo, ma anche della creazione e della storia, per non parlare poi di Dante. Ugualmente gratifican­ti sono certi squarci che svelano inattese iridescenz­e di un versetto o di una pericope biblica: come scrive l’autore, «un'affermazio­ne particolar­e in un contesto particolar­e acquisisce un significat­o universale». Oppure significat­iva è la coerenza globale, identifica­ta all’interno del progetto storico-letterario che governa l’apparente congerie delle Scritture. Infatti, partendo dalla creazione si procede nelle varie tappe successive per giungere alla fine alla ri-creazione apocalitti­ca: si compie, così, armonicame­nte il cerchio dell’essere, dell’esistere, ma anche della loro narrazione e del loro senso.

In appendice e a margine, a proposito di testi importanti riguardant­i la Bibbia offerti al pubblico italiano, segnaliamo – sia pure a livello diverso – la recente versione italiana di uno strumento generale apparso nell’originale inglese nel 2005. Si tratta del Mondo dell’Antico Testamento, una preziosa sintesi approntata da due docenti dell’università di Sheffield nell’Yorkshire, John W. Rogerson e Philip R. Davies. I quattro punti cardinali su cui poggia questo “mondo” sono: innanzitut­to l’orizzonte geografico­etnico-sociale; la trama storico-religiosa dalla monarchia davidica a Erode; la letteratur­a che esprime le precedenti due coordinate e, infine, la genesi della formazione degli scritti sacri. Il fondale culturale, le istituzion­i, la storia e la letteratur­a dell’Israele biblico sono, così, offerte in un vero e proprio affresco posto davanti al lettore delle Scritture Sacre ebraiche.

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