Nel magma napoletano
Maria Pace Ottieri ha esplorato in lungo e largo i paesi dell’hinterland attorno al vulcano raccontando vita e storie nell’incombere di un evento che spaventa
Due classiche esclamazioni napoletane vengono alla mente una volta giunti alla fine di questo ampio e coinvolgente reportage sull’area vesuviana. La prima è «lassa fa’ a Dio», lascia fare a Dio, che esprime un atteggiamento di supinità nei confronti sia della storia che della natura, la resa e l’abbandono a un destino incomprensibile che le misere forze dell’individuo mai riusciranno a controllare, a modificare. La seconda è un proverbio che, sempre nei confronti della storia e della natura, anzi della Storia e della Natura, afferma la convinzione che tutto può, comunque, cambiare in un attimo, e riportarci a condizioni di eccezionalità, a rovesciamenti repentini della Storia e a sconvolgimenti improvvisi della Natura: «dint’a ’n’ora, Dio lavora», in un’ora può davvero succedere di tutto, tutto può mutare, ma chissà se in meglio, chissà se in peggio.
Sul «carattere dei napoletani» esistono dozzine di riflessioni avanzate, nel corso dei secoli, da napoletani, da italiani, da stranieri. Per molti viaggiatori, Napoli è da sempre oggetto di una curiosità ora affascinata e ammirata e ora perfino disgustata: il magma, l’incerto, l’organico continuano a sorprendere e a intimorire, e certamente Napoli somiglia più al Cairo e a Istanbul che non a Milano, è una capitale mediterranea che è bensì stata tra le più grandi capitali d’Europa nel Settecento e nell’Ottocento, ben più animata e moderna della provinciale Torino savoiarda. Peraltro, ancora oggi, si può dire che esistano in Italia soltanto due vere metropoli, anche se tra loro diversissime, Milano, città europea a tutti gli effetti, e Milano, città mediterranea, tuttora ai suoi antipodi. Il resto è provincia, Roma compresa, e specialmente oggi.
Così come Milano è qualcosa di più che Milano, col suo hinterland imponente, così dicendo Napoli si indica comunemente un’area ancora più vasta di quella milanese, una «città diffusa» di cui Maria Pace Ottieri considera nel suo viaggio di esplorazione e scoperta, anche se, come si dice, a due passi da casa, in realtà solo una parte, quella appunto «vesuviana», la costa e l’interno da Napoli a Pompei, la zona, diciamo pure, che resterebbe massimamente coinvolta da un eventuale e non improbabile futura esplosione del Vesuvio. Con la sottile angoscia che esprimeva Sotto il vulcano di Malcolm Lowry, considerando un altro paesaggio. Anche l’area di Bagnoli e Pozzuoli, pur se sismiche, vengono più sfiorate che raccontate, quelle stesse in cui il padre di Maria Pace, Ottiero, lavorò a un progetto olivettiano di modernizzazione economica e scrisse nel 1959 un capolavoro della «letteratura napoletana» moderna, Donnarumma all’assalto. Si tratta in ogni caso di una delle zone più fittamente popolate del mondo, Casavatore e Portici giungono ai 12, ai 13 mila abitanti per chilometro quadrato, una densità di poco inferiore a quelle di Pechino o dell’area di Tokyo, di New York, di Calcutta. Con la differenza che non si tratta in quei casi di aree vulcaniche, e che vi dominano preoccupazioni più sociali che naturali. Il sentimento di precarietà determinato dalla presenza del Vesuvio e più in generale dalla coscienza di muoversi sopra un terreno instabile, insicuro, conta pur qualcosa nei modi di vivere delle persone, e costruisce abitudini che, giorno dopo giorno, tengono in poco conto questa precarietà, sopraffatte come sono da altre preoccupazioni, da altre precarietà.
Maria Pace Ottieri, con alcuni egregi amici napoletani che si sono messi a sua disposizione, ha esplorato in lungo e in largo i paesi dell’area vesuviana rintracciando e raccontando, zona per zona, storie di persone e di gruppi che sempre hanno avuto o hanno a che fare con «’a Muntagna», come è ancora chiamato popolarmente il Vesuvio, per loro, la montagna per eccellenza. Ha ricostruito con i suoi referenti le loro vicende pubbliche, le loro vicissitudini e le loro iniziative, che colloca su uno sfondo che è tanto «sociale» e minuziosamente dentro la Storia dei nostri tempi recenti e del nostro oggi, quanto storico, nel ripercorrere le passate eruzioni e le loro conseguenze, quanto ambientale e minuziosamente «geografico», rimarcando piuttosto l’incoscienza che la coscienza di un pericolo che è pur sempre incombente. Cento i luoghi, le storie, i personaggi, e verrebbe voglia di elencare i più rappresentativi ma si finirebbe per fare un torto al libro e alla sua vocazione «globale», e che infine un viaggio ben più «nostro» di quelli dei giramondo inglesi alla Chatwin, che risvegliano sempre nel lettore un sospetto di aristocraticismo nei confronti dei popoli con i quali si confrontano.
È l’importanza dello sfondo a tenere insieme questa esplorazione, l’incombere di un evento che spaventa e che, forse, è più presente nei nostri sogni, e a maggior ragione in quelli dei napoletani di quanto non si è disposti a riconoscere nella veglia: l’eterno sogno della fine del mondo o di un mondo. Le parti forse più impressionanti di quest’inchiesta sono quelle che riguardano l’eventualità, data da molti esperti per certa e per prossima, di una nuova micidiale eruzione. Mette davvero paura leggere le previsioni e vedere come ci si prepara a reagire, come lo Stato si prepara a reagire... Sì, il Vesuvio può ridestarsi da un momento all’altro e la Natura può ancora farsi brutalmente sentire senza nessuna considerazione per le nostre vite e per le nostre opere; sì, ci si spaventa a leggere cosa potrebbe succedere e come ci potrebbe, chissà, mettere in salvo; sì, alle apocalissi naturali si aggiungono oggi quelle provocate dall’uomo, da noi stessi (o meglio: da chi ci amministra e decide per noi, da chi ci manipola e ci fa pensare quel che vuole che noi pensiamo). Se l’ostinata ginestra fiorirà ancora alle pendici del vulcano, quando ogni fuoco si sarà spento, forse non saranno molti gli umani che potranno ancora godere del suo colore e del suo profumo. Il Vesuvio e la Napoli di Maria Pace Ottieri sono qualcosa di più del Vesuvio e della Napoli concrete, il Vesuvio non è un vulcano spento, e se è più la Storia che la Natura, per di più violentata dalla Storia, a spaventarci oggi di più, ci sentiamo tuttavia più fragili e impreparati che mai. «Dint’a ’n’ora, Dio lavora».