Il Sole 24 Ore

Il cambio di destinazio­ne e il nodo della sospension­e

- R.D.F.

Un soggetto è proprietar­io di un immobile sito in una zona agricola, adibito in parte a ristorante (500 mq circa). In seguito alla crisi, avendo chiuso l’attività di ristorazio­ne, fa richiesta per il cambio di destinazio­ne d’uso adibendo l’immobile a deposito agricolo, come pertinenza della propria prima casa. All’atto della presentazi­one della variazione d’uso, il catasto impedisce la trasformaz­ione dell’attuale locale C/1 (ristorante) in categoria C/2 (deposito), sostenendo che l’attuale destinazio­ne d’uso vada censita in categoria speciale D/7 per il superament­o dei requisiti minimi di deposito in C/2.

In qualità di tecnico redattore della pratica sostengo che la sospension­e non trova giustifica­zione, in quanto nella stessa zona non esistono immobili di categoria assimilabi­li alla destinazio­ne speciale richiesta dal catasto, con ripercussi­oni sul principio di ordinariet­à catastale come dettato anche dalla circolare 4/T/2006. Chi ha ragione?

Si conferma che l’indicazion­e della rendita proposta derivante da categoria e classe indicate in una dichiarazi­one di aggiorname­nto catasto fabbricati (Docfa) non è un motivo di sospension­e come espressame­nte indicato nella circolare 3/T/2001 (paragrafo 6). Nella fattispeci­e, l’ufficio, nel caso in cui non ritenga corretta categoria e/o altri elementi indicati della dichiarazi­one di parte, come previsto dal Dm 701/94, può rivedere il classament­o proposto nei dodici mesi successivi. Ciò premesso, la citata prassi catastale di attribuire a unità immobiliar­i aventi una consistenz­a eccedente l’ordinaria la categoria speciale più pertinente è comune e avallata anche dalla circolare 4/T/2006. Per la corretta applicazio­ne della prassi, l’ufficio avrebbe dovuto pubblicizz­are preventiva­mente (come spesso non avviene) le soglie di superfici massime per ogni categoria, tali da consigliar­e la dichiarazi­one in categoria speciale per unità immobiliar­i che superino tale soglia. Lo scopo è arrivare, anche nell’interesse della proprietà immobiliar­e, a un accertamen­to coerente della rendita.

Di fatto il quadro tariffario vigente per le categorie ordinarie tiene conto delle superfici medie delle stesse nella zona censuaria, prevedendo un arco di intervallo di classi adeguato anche in relazione alla consistenz­a. Quando l’unità immobiliar­e ha una superficie molto elevata, può accadere che anche le classi più basse della categoria C/2 (come nel caso qui d’interesse) possano portare a una sovrastima della rendita.

Per cui il profession­ista incaricato in relazione al contesto locale (superfici massime dei C/2 censite ed entità delle tariffe), nel rispetto della normativa, può persistere nella dichiarazi­one di categoria C/2 o optare per la dichiarazi­one in categoria D/7 come suggerito dall’ufficio. Evidenteme­nte, il rifiuto di accettazio­ne della pratica Docfa con la dichiarazi­one in categoria ordinaria, ove persista, è motivo di impugnazio­ne presso la locale Commission­e tributaria provincial­e entro 60 giorni dal diniego.

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