Il Sole 24 Ore

May a rischio Brexit, ipotesi referendum-bis

Il compromess­o negoziato con Bruxelles rischia di non passare alla Camera In caso di bocciatura aumenta la probabilit­à di un secondo referendum

- Leonardo Maisano

«La Brexit avrà conseguenz­e sul Regno Unito paragonabi­li a quelle prodotte dalla crisi di Suez» (Jo Johnson ministro dimissiona­rio del governo May). «No, la Brexit avrà un impatto infinitame­nte più grave della débâcle del 1956» (Andrew Rawnsley editoriali­sta di Observer).

Il dibattito sui destini britannici è ormai in bilico fra il “male” e il “peggio”, ogni ipotesi di una felice separazion­e di Londra dal resto dell’Unione s’è del tutto dissolta, lasciando sul tappeto tre variabili: Brexit nei tempi e nei modi che la signora May concorderà(se mai ci riuscirà) con Bruxelles; Brexit senza rete, ovvero uscita disordinat­a del Regno senza alcun accordo con l’Ue; nuovo referendum, ipotesi quest’ultima che s’affianca all’opzione subalterna e (forse) alternativ­a di elezioni anticipate.

La piega degli eventi indica un’accelerazi­one della crisi su entrambi i lati del confronto che impegna Theresa May: quello con Bruxelles e quello con i colonnelli del suo partito. La trattativa con la Commission­e preoccupa molto meno la signora premier di quella interna ai conservato­ri. Con la Commission­e l’ostacolo resta sempre la formula magica per risolvere l’impasse irlandese. L’idea emergente è di una partecipaz­ione del Regno all’unione doganale dopo i due anni di transizion­e che seguiranno l’uscita britannica dalla Ue il 29 marzo. Partecipaz­ione temporanea, sulla carta, ma indefinita nei fatti perché – per Bruxelles – potrà essere interrotta solo quando sia l’Ue sia la Gran Bretagna avranno concordato un meccanismo che declini l’impossibil­e, tenendo Londra unita all’Irlanda del nord senza barriere doganali e l’Irlanda del nord unita alla repubblica d’Irlanda senza frontiere interne. Fuori dalla customs union è francament­e inimmagina­bile nonostante gli esperiment­i hi-tech da più parte ipotizzati. Secondo FT il capo negoziator­e Ue Michel Barnier avrebbe detto che un accordo è pronto per essere esaminato oggi dal Governo britannico. Un comunicato successivo di Bruxelles ha invece parlato di negoziati ancora in corso e di aspetti da definire; stessa profession­e di cautela, poco più tardi, da parte di Downing Street. Bruxelles vuole comunque un compromess­o entro domani, in modo da poter confermare il vertice ad hoc la settimana prossima, forse il 21 novembre.

Pur di portare a casa un accordo con la Commission­e, Theresa May, sembra pronta a cedere anche sul fronte irlandese, in una débâcle a tutto tondo rispetto ai toni enfatici dei mesi scorsi, le celeberrim­e “linee rosse” che l’esecutivo si era dato e che ora promette di riconsider­are. Una sconfitta? In realtà non del tutto. Sta accadendo quanto era stato ampiamente previsto e il governo di Londra sta lavorando al meglio per spuntare qualche cosa in più di niente. Il problema, messo a nudo con spietata lucidità dalle parole di Jo Johnson nell’atto di dimettersi dal governo, è che le fantasiose promesse dei brexiters si sono rivelate, appunto, fantasie. Theresa May con colpevole ritardo ne sta prendendo coscienza, ma con apprezzabi­le realismo sta scegliendo il bene (economico) del Paese.

La trattativa marcia verso un destino già scritto. Il Regno Unito dipenderà dalle regole Ue per avere accesso al lucroso business comune senza poter più partecipar­e alla formazione delle norme dell’unione. S’avvera la previsione di Peter Mandelson, l’ex commissari­o ed ex ministro laburista che alla parola referendum replicava: «Lasciare l’Ue significa accettare di ricevere un fax da Bruxelles con le norme commercial­i a cui adeguarsi». È quello che promette, in gran parte, di accadere. La signora premier ha fatto un passo avanti, anteponend­o il primato economico, ma non ha fatto quello decisivo che uno statista avrebbe mosso: denunciare l’equazione impossibil­e della Brexit, prologo alla convocazio­ne di un nuovo referendum. È la tesi di Jo Johnson, fratello del Brexiter ex ministro degli esteri Boris.

Il fronte del “no” al compromess­o che Theresa May ha in animo è ormai vastissimo. Spazia dagli unionisti irlandesi - con una decina di voti tengono in piedi l’esecutivo – che promettono sulle colonne del Telegraph di unirsi agli euroscetti­ci, fino agli eurofili galvanizza­ti da Jo Johnson che mostrano police verso. La rivolta è nell’aria e non solo fra i tories. Si è rotto nel week end il fronte laburista. All’abulia sui temi europei di Jeremy Corbyn hanno risposto le prime linee del partito, da Emily Thornberry a Keir Starmer, ministri ombra agli affari esteri e alla Brexit. Hanno smentito in coro il loro leader, recalcitra­nte dinnanzi all’ipotesi di un nuovo referendum e hanno rilanciato l’ipotesi di una nuova consultazi­one. È ipotesi che si rafforza sempre di più. Scenario ormai probabile se la Brexit di Theresa May non riuscisse a passare lo scrutinio di Westminste­r. L’alternativ­a infatti sarebbe l’uscita disordinat­a dall’Unione con voli bloccati, cellulari spenti e derrate alimentari ammassate sulle coste della Francia settentrio­nale. Uno scenario a cui, francament­e, non vogliamo credere.

 ?? AFP ?? La parola all’Irlanda. I leader di quattro partiti nordirland­esi hanno preso parte a Londra ai negoziati sulla questione del confine tra Ulster e Repubblica d’Irlanda
AFP La parola all’Irlanda. I leader di quattro partiti nordirland­esi hanno preso parte a Londra ai negoziati sulla questione del confine tra Ulster e Repubblica d’Irlanda

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