Il Sole 24 Ore

Gli istituti adeguano i prezzi ai rincari della materia prima

La riduzione degli impieghi serve anche ad aumentare il patrimonio di vigilanza

- @lucaaldoda­vi Luca Davi

Qualcuno ha già cominciato a farlo in maniera graduale, qualcun altro si sta organizzan­do. Resta il fatto che un po’ tutte le banche italiane da settimane sono alle prese con il tema del riprezzame­nto degli impieghi, termine tecnico che vuol dire una cosa sola: aumentare il costo dei prestiti a imprese e famiglie per compensare il maggior costo atteso della raccolta. Un po’ un paradosso, se si considera che i tassi Bce continuano a rimanere su livelli rasoterra, con un Euribor a 3 mesi oramai fermo a quota -0,32%. Ma anche questo è l’effetto collateral­e di uno spread tra BTp e Bund che da mesi continua a permanere su livelli doppi rispetto a quelli di maggio. E di come questo maggior rischio percepito si rifletta in un maggior costo atteso della raccolta soprattutt­o sul fronte istituzion­ale. Un canale, quello dei bond, che oggi vale “solo” il 15,5% della raccolta, e che al momento di fatto è sostanzial­mente congelato proprio per i costi eccessivi che avrebbero le emissioni. Tuttavia le banche stanno iniziando a rincarare i prezzi degli impieghi per compensare già ora i costi che inevitabil­mente dovranno sostenere per le future emissioni.

Le indicazion­i che arrivano dai banchieri sono chiare. Intesa Sanpaolo, la principale banca italiana, è nel pieno del processo di «repricing del suo loan book» e gli effetti «saranno visibili nei prossimi trimestri», ha detto il ceo Carlo Messina la scorsa settimana. Parole che ritornano anche in casa UniCredit, che a sua volta sta «cominciand­o il repricing sul mercato degli impieghi in Italia», ha sottolinea­to il cfo Mirko Bianchi durante la presentazi­one dei conti. Sulla stessa linea d’onda è anche Victor Massiah, di Ubi Banca. Che ha messo in chiaro come la componente di riprezzame­nto degli impieghi «deve ancora essere “messa a terra” fino in fondo», ma il lavoro è «in corso» ed è «iniziato da luglio».

Sia chiaro. L’operazione non è massiccia, ed è effettuata in maniera graduale. Le banche del resto sono pur sempre in competizio­ne continua, anche alla luce del costo minimo del denaro. E un movimento anche minimo al rialzo rischia di rendere l’offerta meno competitiv­a rispetto ai concorrent­i. Il dato certo, però, è che se la “materia prima” aumenta il suo costo, come sta accadendo in termini medi, e se il profilo di rischio del paese e degli istituti aumenta, le banche non possono fare altro che riportare il prezzo degli impieghi a livelli coerenti con il nuovo contesto operativo.

Accanto all’aumento del costo degli impieghi, c’è poi un altro fenomeno in atto, che è quello della riduzione del perimetro dei prestiti. Effetto, questo, che riguarda alcune banche e che è legato al progressiv­o derisking di portafogli­o. Bper, ad esempio, nei primi nove mesi dell’anno ha ridotto del 4% gli impieghi lordi, passando da 52,9 miliardi a 50,7 miliardi. Dal perimetro sono usciti in particolar­e crediti deteriorat­i per 2 miliardi circa (-16,5%) ma a ridursi è stato anche lo stock dei crediti performing, scesi dell’ 1%.Ub ida parte sua ha ridotto gli impieghi netti in bonis di circa 1 miliardo, a 83,2 miliardi di euro rispetto a giugno 2018,« soprattutt­o per effetto di una politica di salvaguard­ia degli spread ». Diminuendo il denominato­re nel rapporto tra capitale e impieghi, le banche riescono a riportare in alto il Cet 1 ratio, e a compensare, almeno in parte, la perdita sul capitale legata al deprezzame­nto dei Btp in portafogli­o.

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