Orange per ora frena: «Non stiamo guardando all’Italia»
La guerra dei prezzi scatenata dall’arrivo di Iliad rilancia il tema delle fusioni
«Siamo attivi in otto mercati in Europa e l’Italia non è un Paese al quale stiamo guardando». Interpellati dal Sole 24 Ore, dalla telco francese Orange, erede di France Télécom, replicano in questo modo alle voci, in verità sempre più insistenti, su un interesse della compagnia francese per i destini di Telecom Italia.
Di certo non è la prima volta che fra vari stop and go emerge l’indiscrezione di qualche interesse per l’ex monopolista italiano da parte di un azienda che è fra i principali operatori del mercato europeo, che in Borsa capitalizza 38,6 miliardi, attiva in otto mercati (Belgio, Francia, Lussemburgo, Moldavia, Polonia, Romania, Slovacchia e Spagna), che per le aziende ha uno specifico ramo (Orange Business Services) e che molto spesso gli analisti hanno indicato come possibile motore di un processo di consolidamento delle tlc in Europa. Il mercato francese, del resto, ha risentito in pieno delle scosse legate all’ingresso sul mercato di Iliad. Non a caso sul segmento mobile il calo dell’Arpu medio (il ricavo per cliente) del mercato francese è stato del 45% dal settembre del 2009, momento del via libera regolatorio a Iliad-Free come quarto operatore del mercato mobile. Quell’Arpu, a giugno 2018, è sceso a quota 19,4 euro, con i quattro principali operatori così posizionati: Orange a 22,4 euro; Sfr a 20,3 euro, Bouygues Telecom a 19,6 euro e Iliad a 11,5 euro.
Il tutto in una guerra dei prezzi in cui il mercato francese si è avvitato così tanto da portare la Francia a essere considerata, come detto, alla stregua del motore di possibili operazioni di consolidamento con l’Arcep, l’autorità francese di regolamentazione, che a ridosso dell’estate ha sostanzialmente aperto la porta a ipotesi di consolidamento che gli operatori hanno salutato con favore.
Nel 2017 l’operatore di tlc – che ha come suo maggiore azionista lo Stato francese – ha segnato un utile netto di 1,9 miliardi di euro, in calo del 24,8% rispetto al 2016 che aveva beneficiato della plusvalenza per la vendita della partecipazione della britannica EE. Il fatturato è aumentato dello 0,4% (+ 1,2% su base comparabile) a 41,07 miliardi di euro. Qualche giorno fa la telco guidata da Stéphane Richard – che per il biennio è stato nominato anche presidente dell’associazione degli operatori mobili Gsma – ha comunicato i dati di un terzo trimestre con una crescita meno marcata rispetto ai trimestri precedenti, ma con fatturato salito a 30,57 miliardi di euro con, ancora una volta, miglioramento sia in Francia sia negli altri mercati.
Va detto che il dinamismo non è una componente mancante nella telco francese che sulla fibra la fa da padrona. Il mix con i contenuti, dopo l’accordo con Canal+ di Vivendi (il maggiore azionista della Tim ora guidata dal fondo Usa di Elliott) sta premiando. Ma Orange è anche produttrice di contenuti con la sua Orange Studio e investimenti che nel 2017 sono saliti a 750 milioni, dai 500 del 2014. C’è poi tutta l’attività bancaria in cui Orange si è lanciata un anno fa, per ora comunque senza risultati memorabili. E infine, la telco ha comunicato in estate l’intenzione di migrare tutto sul Voip (Voice over Ip), cioè la telefonia su protocollo Internet. Mandare dunque in pensione il caro vecchio telefono fisso. Progetto al quale anche Tim sta lavorando.