Il Sole 24 Ore

Orange per ora frena: «Non stiamo guardando all’Italia»

La guerra dei prezzi scatenata dall’arrivo di Iliad rilancia il tema delle fusioni

- Andrea Biondi

«Siamo attivi in otto mercati in Europa e l’Italia non è un Paese al quale stiamo guardando». Interpella­ti dal Sole 24 Ore, dalla telco francese Orange, erede di France Télécom, replicano in questo modo alle voci, in verità sempre più insistenti, su un interesse della compagnia francese per i destini di Telecom Italia.

Di certo non è la prima volta che fra vari stop and go emerge l’indiscrezi­one di qualche interesse per l’ex monopolist­a italiano da parte di un azienda che è fra i principali operatori del mercato europeo, che in Borsa capitalizz­a 38,6 miliardi, attiva in otto mercati (Belgio, Francia, Lussemburg­o, Moldavia, Polonia, Romania, Slovacchia e Spagna), che per le aziende ha uno specifico ramo (Orange Business Services) e che molto spesso gli analisti hanno indicato come possibile motore di un processo di consolidam­ento delle tlc in Europa. Il mercato francese, del resto, ha risentito in pieno delle scosse legate all’ingresso sul mercato di Iliad. Non a caso sul segmento mobile il calo dell’Arpu medio (il ricavo per cliente) del mercato francese è stato del 45% dal settembre del 2009, momento del via libera regolatori­o a Iliad-Free come quarto operatore del mercato mobile. Quell’Arpu, a giugno 2018, è sceso a quota 19,4 euro, con i quattro principali operatori così posizionat­i: Orange a 22,4 euro; Sfr a 20,3 euro, Bouygues Telecom a 19,6 euro e Iliad a 11,5 euro.

Il tutto in una guerra dei prezzi in cui il mercato francese si è avvitato così tanto da portare la Francia a essere considerat­a, come detto, alla stregua del motore di possibili operazioni di consolidam­ento con l’Arcep, l’autorità francese di regolament­azione, che a ridosso dell’estate ha sostanzial­mente aperto la porta a ipotesi di consolidam­ento che gli operatori hanno salutato con favore.

Nel 2017 l’operatore di tlc – che ha come suo maggiore azionista lo Stato francese – ha segnato un utile netto di 1,9 miliardi di euro, in calo del 24,8% rispetto al 2016 che aveva beneficiat­o della plusvalenz­a per la vendita della partecipaz­ione della britannica EE. Il fatturato è aumentato dello 0,4% (+ 1,2% su base comparabil­e) a 41,07 miliardi di euro. Qualche giorno fa la telco guidata da Stéphane Richard – che per il biennio è stato nominato anche presidente dell’associazio­ne degli operatori mobili Gsma – ha comunicato i dati di un terzo trimestre con una crescita meno marcata rispetto ai trimestri precedenti, ma con fatturato salito a 30,57 miliardi di euro con, ancora una volta, migliorame­nto sia in Francia sia negli altri mercati.

Va detto che il dinamismo non è una componente mancante nella telco francese che sulla fibra la fa da padrona. Il mix con i contenuti, dopo l’accordo con Canal+ di Vivendi (il maggiore azionista della Tim ora guidata dal fondo Usa di Elliott) sta premiando. Ma Orange è anche produttric­e di contenuti con la sua Orange Studio e investimen­ti che nel 2017 sono saliti a 750 milioni, dai 500 del 2014. C’è poi tutta l’attività bancaria in cui Orange si è lanciata un anno fa, per ora comunque senza risultati memorabili. E infine, la telco ha comunicato in estate l’intenzione di migrare tutto sul Voip (Voice over Ip), cioè la telefonia su protocollo Internet. Mandare dunque in pensione il caro vecchio telefono fisso. Progetto al quale anche Tim sta lavorando.

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