Cresce il gap digitale delle imprese Il piano Vodafone per i giovani talenti
Con «What will you be» l’azienda vuole supportare 100mila ragazzi in 5 anni Il mercato chiede analisti di sistema, sviluppatori e consulenti informatici
La prima istituzione a lanciare l’allarme è stata, nel 2016, la Commissione europea: «Entro il 2020 serviranno 800mila professionisti digitali. Ma non ci sono», aveva detto senza mezzi termini Khalil Rouhana, allora direttore del “Dg connect”, il dipartimento della Commissione europea nato per promuovere lo sviluppo di un mercato digitale unico.
La stima è stata da allora rivista al rialzo dalla stessa Commissione. Per l’Italia parlano i dati dell’«Osservatorio delle competenze digitali 2017» redatto da Miur e Agenzia per l’Italia Digitale. Il rapporto stima che il fabbisogno cumulato dei professionisti Ict in Italia nel triennio 2016-2018 si attesta tra 85mila (scenario ottimistico) e 61mila (scenario conservativo) figure professionali. Per ottenere il dato gli analisti hanno elaborato le dinamiche della domanda del lavoro delle professioni Ict attraverso le analisi delle offerte pubblicate dalle aziende sui siti web. Il data base - attivato a febbraio 2013 e aggiornato mensilmente - ha censito negli anni oltre 175mila annunci “vacanti” nel settore Ict. L’analisi si ferma a dicembre 2016, anno in cui sono stati pubblicati 60mila annunci con una crescita media rispetto al 2015 del 26%.
I professionisti più ricercato sono sviluppatori (79.697 nel periodo 2013-2016), analisti di sistema (27.264) e consulenti Ict (15.972). L’infografica qui pubblicata restituisce la dislocazione geografica delle richieste: il Nord-Ovest, con il 48% delle domande, è la macroregione italiana che ha mediamente più bisogno di profili Ict. Dinamica opposta nel Sud e nelle Isole, che insieme si fermano al 5% delle domande.
« La diffusione delle nuove tecnologie è un’opportunità ed una sfida allo stesso tempo, da una parte l’esigenza delle aziende di ridisegnare interi processi produttivi, dall’altra la necessità di integrare nuove competenze digitali - afferma Donatella Isaia, direttore Risorse umane e organizzazione di Vodafone Italia, che con il programma What will you be intende facilitare questo incontro, «offrendo ai giovani una porta d’accesso in termini di formazione e orientamento alle professioni nell’era della digital economy». Con What will you be, lanciato a marzo, Vodafone punta a supportare, in 5 anni, 100mila ragazzi e ragazze nell’inserimento nel mondo del lavoro, attraverso programmi dedicati a neolaureati, stagisti, apprendisti e altri percorsi formativi come l’alternanza scuola lavoro. Mentre con la piattaforma Future jobs finder fornisce un supporto alla carriera e all’accesso a corsi di formazione a 10 milioni di giovani in 18 paesi.
Il primo approccio con Future jobs finder (http://futurejobsfinder.vodafone.com) consiste in una serie di test online per identificare attitudini e interessi individuali dei candidati e collegarli con le categorie di lavoro più appropriate. Successivamente, l’utente viene indirizzato a una serie di opportunità di lavoro digitali nella località prescelta. L’utente può anche accedere a diverse opportunità di formazione in ambito digitale: tra le proposte anche diversi corsi gratuiti.
Lo sviluppo di competenze digitali deve poter contare su una visione di lungo periodo e un respiro europeo. L’Europa ha infatti buone carte da giocare: produce il 35% a livello mondiale del software che fa muovere treni, auto e macchinari industriali. Oltre un terzo della produzione mondiale nel settore della robotica è generato in Europa; la quota sale al 50% se si considerano i robot per servizi di sicurezza. Infine i sensori: il 55% della produzione mondiale è Made in Europe. Vantaggi costruiti grazie a eccellenti manifatture nazionali - italiana e tedesca in primis - che però ora hanno bisogno di nuove competenze per produrre prodotti e servizi pronti per l’era del digital inside, segnata dalla completa integrazione delle tecnologie informatiche con tutti i processi economici e produttivi.