Il Sole 24 Ore

Il Fondo alla conta, Credem si sfila

Intesa spenderà fino a 70 milioni e UniCredit 60, in stand-by Banco, Ubi e Mps

- Luca Davi

Le banche italiane si mettono ancora una volta una mano sul cuore e (l’altra al portafogli­o) per sistemare una banca in difficoltà. Dopo le tre casse del centro Italia ricapitali­zzate nel 2017, ora è Carige il nuovo oggetto di intervento del braccio volontario del Fondo interbanca­rio. Il consiglio di gestione ha infatti deliberato di proporre alle 140 banche aderenti la sottoscriz­ione del bond Tier 2 che permetterà a Carige di riportare il Total capital ratio oltre i livelli di guardia.

In teoria il fondo è disposto a mettere sul piatto fino a 320 milioni. Una cifra non enorme, ma comunque l’ennesima richiesta di denaro che ricade sulle banche sane, che si fanno carico delle crisi dei competitor. La scelta di autotassar­si è insomma preferita rispetto al “maggior onere” rappresent­ato dall’eventuale risoluzion­e della banca ligure (peraltro una banca di rilievo, visti i 9,4 miliardi di masse protette), e di una conseguent­e potenziale crisi bancaria che certo non farebbe bene a nessuno.

Da domani inizierà dunque il sondaggio tra le banche aderenti che dovranno dare il loro avvallo in occasione dell’assemblea fissata per il 30 novembre. Per passare, la proposta dovrà essere autorizzat­a dal 50% degli aderenti allo schema volontario, mentre servirà l’ok del 90% del capitale rappresent­ato. Intesa Sanpaolo ha già fatto sapere di essere della partita («Non faremo mancare il nostro sostegno», ha detto ieri il ceo Carlo Messina), stessa disponibil­ità anche da parte di UniCredit, come segnalano fonti vicine alla banca. Qualche dubbio invece in casa BancoBpm, da cui arriva un “no comment”, così nessun commento giunge da Ubi, mentre Mps deve valutare l’opportunit­à anche alla luce degli impegni presi con l’Europa in termini di investimen­ti su altri soggetti. Fuori dai giochi si chiama invece Credem, che già non aveva partecipat­o al round per il salvataggi­o delle tre Casse. Se l’esborso finale sarà il massimo previsto, Intesa Sanpaolo (che vale circa il 23% delle masse protette) dovrebbe sottoscriv­ere pro-quota circa 70 milioni del bond, UniCredit (18%) circa 58.

Insomma, nei prossimi giorni si vedrà la risposta del sistema, ma è chiaro che maggiore sarà l’adesione collettiva, minore sarà il fardello dei singoli aderenti. Nell’ambiente c’è un clima di ragionevol­e fiducia rispetto al fatto che l’operazione vada in porto. Certo è che, grazie alla fondamenta­le regìa di Bankitalia, la mossa del Fondo volontario guidato dal presidente Salvatore Maccarone è stata salutata con favore anche per la rapidità con cui è stata costruita. Carige ha ora un backstop di garanzia fondamenta­le in vista dell’aumento di capitale di marzo. Con il bond in cassa, la banca sarà perfettame­nte in linea rispetto alle richieste Bce. A quel punto, qualora invece i grandi soci di Carige si sfilassero dalla ricapitali­zzazione, il Fondo diventereb­be azionista della banca, con quote variabili a seconda dell’adesione del mercato e a condizioni che saranno definite a breve.Il Fondo non potrà andare oltre il 50% (anche perchè lo statuto non lo consente), passaggio che comunque dovrebbe essere autorizzat­o da Bce. In caso di buon esito della ricapitali­zzazione, invece, e di piena partecipaz­ione degli attuali azionisti (o di un potenziale acquirente), il bond verrebbe rimborsato. Per il fondo, si tratterebb­e di un investimen­to rischioso sì, ma non a fondo perduto.

á@lucaaldoda­vi

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