Il Sole 24 Ore

TUTTO LO SVILUPPO CHE VERRÀ DALL’AMBIENTE

- di Aldo Bonomi bonomi@aaster.it

Le calamità naturali di queste ultime settimane hanno riproposto con forza la complessa questione ambientale, accendendo un faro sullo stato dei territori. L’attenzione al territorio è stata posta nella sua accezione di “terra”, di suoli e di acque, ma il territorio è soprattutt­o una costruzion­e sociale. Per questo non può essere affrontata solo come distruzion­e delle terre alte o devastazio­ne delle terre basse, con il contributo dell’abusivismo.

Il problema della questione ambientale rimanda al modello di sviluppo, non è questione che riguarda solo i suoi margini. La questione rimanda al rapporto che si costruisce tra montagna e città, tra le Alpi e le pedemontan­e, tra Cortina e Milano, non solo nel senso di Olimpiadi, tra costa ed entroterra, tra terre dell’osso e terre della polpa, tra Sicilia del turismo e delle case spazzate via dalle fiumare. Il nostro modello di sviluppo “green” lavora sull’intreccio tra smart city e smart land, ovvero su uno stretto rapporto tra città e campagna (montagna, costa, etc), tra centri e margini. Green economy è un modello di capitalism­o che incorpora il limite ambientale nel suo processo di accumulazi­one. Ne fa motore di un nuovo ciclo. Ma è un discorso che incorpora anche il tema dei nuovi conflitti: se vogliamo evitare di “bruciare” la green economy come una nuova bolla finanziari­a dobbiamo associarvi la costruzion­e di una green society come partecipaz­ione e civilizzaz­ione. La green economy è una narrazione che deve produrre anche un’idea di green society. Possibile soprattutt­o in Italia dove, prima che altrove, il capitalism­o di territorio è cresciuto storicamen­te coniugando economia e società. E in Italia si incarna nel tentativo delle città medie radicate nelle piattaform­e produttive manifattur­iere di riconverti­rsi in città terziarie oppure delle grandi città come Milano, Roma e Palermo di ripartire dalla partecipaz­ione civica sui temi ambientali per costruire un nuovo rapporto con le proprie aree metropolit­ane.

Le ricerche di Unioncamer­e e Symbola ci mostrano come nel nostro Paese sia in atto un movimento complessiv­o del sistema produttivo, dalla manifattur­a alle produzioni biologiche, dalle utility, dall’edilizia ai servizi, in cui sono i territori con le loro vocazioni produttive, le loro identità in trasformaz­ione e le loro reti di saperi che stanno interpreta­ndo la green economy. Tracce di metamorfos­i del capitalism­o molecolare e dei saperi diffusi destinate a rimanere solo tali senza un capitalism­o delle reti fatto non solo dei due colossi energetici nazionali, Enel e Eni, quanto di quel tessuto di multi-utility eredi delle municipali­zzate. L’aspra dialettica tra big player del capitalism­o delle reti e filiere del capitalism­o manifattur­iero che vede i territori in mezzo è una delle vie da praticare per dare corpo alla green economy. La “nostra” green economy, assai più che di investimen­ti hard nelle energie rinnovabil­i, ha il volto delle reti territoria­li soft, dei “ritornanti” che promuovono nuova agricoltur­a facendo tesoro della rivoluzion­e slow, dei parchi come laboratori di pratiche sostenibil­i. La “nostra” smart land è innovazion­e sociale, comunità concrete che si approprian­o delle soluzioni tecnologic­he partendo dai loro bisogni. E la nostra sharing economy non è fatta dell’aggregazio­ne di molecole di capitale alla Uber, ma di progetti di vita che entrano in risonanza rilanciand­o una mutualità del progettare, produrre, distribuir­e, acquistare, prendersi cura degli altri e dei luoghi.

A fronte di questa proliferaz­ione orizzontal­e in tensione con la verticaliz­zazione delle strategie del capitalism­o delle reti, manca una dimensione di rappresent­anza che ponga in rapporto crisi ecologica, green economy e green society. Guardando all’Europa qualche segnale di una certa intensità mi pare venga avanti più dal basso che dall’alto: in Germania, ad esempio, dove le elezioni federali hanno evidenziat­o la forte crescita dei verdi, in Francia dove qualche giorno fa 18mila studenti universita­ri hanno firmato il “manifesto studentesc­o per un risveglio ecologico”, ma anche nelle recenti elezioni americane di mid term dove sono venute avanti proposte di new deal a trazione ambientale. Da noi sono ancora molto frammentat­e e disperse insorgenze che prefigurin­o fenomeni collettivi che segnalino la volontà di porre in agenda la questione della incorporaz­ione del senso del limite in rapporto ai modelli di sviluppo che vengono avanti, di intreccio tra valori e interessi come forma di proto-rappresent­anza.

Dopo la stagione delle 3 T della vecchia new economy, Tecnologia-Talento-Tolleranza, appaiono in questa evoluzione le 3 T della Terra come risorsa scarsa, del Territorio da ripensare nel rapporto tra città e campagna, della Tenuta dell’ecosistema come principio regolativo fondamenta­le. Queste tre parole vanno incluse nel vocabolari­o di chi vorrà passare dalla rappresent­azione alla rappresent­anza della questione ambientale come questione dello sviluppo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy