Il primo obiettivo è unificare la gestione delle risorse
L’ente petrolifero Noc è stato «sdoppiato» con una filiale in Cirenaica
Stipendi che arrivano a singhiozzo, lunghi black-out, carenza di liquidità nelle banche, mancanza di beni di prima necessità per le fasce più povere. La Libia non è solo un Paese travolto da una cronica instabilità, in balìa di milizie rivali. È anche vittima di una grave crisi economica, che negli ultimi mesi ha gonfiato il malcontento popolare, già esasperata per la forte svalutazione del dinaro e per l’inflazione, ancora su livelli troppo alti.
Alla Conferenza di Palermo non si parla dunque solo di riconciliazione, di disarmo delle milizie, di elezioni, di migranti. La Libia vive di greggio e gas naturale, l’export energetico rappresenta il 95% delle entrate governative e delle esportazioni. Oltre a una serie di urgenti riforme economiche (tra cui la riduzione tra il mercato nero e quello ufficiale del dinaro e l’abbattimento del regime dei sussidi), il processo di transizione deve passare attraverso una gestione oculata delle risorse nazionali. Riunificare e rafforzare le istituzioni e gli organismi preposti all’amministrazione delle rendite energetiche è fondamentale.
Dal 2014 l’ex regno di Gheddafi si è sdoppiato, con due governi e due amministrazioni rivali, distribuiti in Tripolitania e in Cirenaica. Nel tentativo di rafforzare l’autonomia, l’Esecutivo della Cirenaica, che non è tuttavia riconosciuto dalle Nazioni Unite, ha perfino voluto creare una propria sede della Banca centrale, a Baida, e un proprio ramo della compagnia petrolifera nazionale(Noc), a Bengasi. Anche queste ritenute illegittime dall’Onu. Ogni volta che Bengasi ha provato a vendere il petrolio estratto in Cirenaica, le petroliere sono però state fermate al largo da navi militari straniere, e spedite a Tripoli.
Il potente generale Khalifa Haftar, “padre padrone” della Cirenaica sostenuto dall’Egitto e dalla Russia, in buoni rapporti con Parigi, ha sempre accusato Tripoli di mala gestione delle risorse nazionali. Nel giugno del 2016, il suo potente esercito ha così occupato i terminal della Mezzaluna petrolifera. Lo scorso luglio ha deciso di riconsegnarli alla Noc di Tripoli, come segnale di distensione. Ma le sue milizie sono però ancora molto vicine. Se lo volesse, ci impiegherebbe davvero poco a riprenderseli.
Da alcuni anni è la Banca centrale, la sola entità realmente funzionante in Libia, ad amministrare le risorse petrolifere ripartendole tra le due “Libie rivali”. Ma anche sulla Banca centrale, e sul suo governatore, il governo della Cirenaica ha espresso forti critiche.
La prima unità tra le diverse anime della Libia va dunque trovata, e presto, su queste due strategiche “istituzioni”. Anche perché sarebbe opportuno sfruttare l’attuale periodo favorevole. Nonostante la cronica instabilità, da diversi mesi, la produzione petrolifera è tornata sopra il milione di barili al giorno (mbg). Nonostante la grande incertezza, la Noc ha avviato contatti con le compagnie petrolifere internazionali. Con un obiettivo: far ripartire gli investimenti stranieri, e dare il via a nuove attività di esplorazione in modo da aumentare la produzione. Di quanto? La Noc intende arrivare a 2 milioni mbg entro il 2022. Più del doppio di quanto estratto oggi, e quasi il 30% in più rispetto ai livelli produttivi precedenti la rivolta del 2011 (1,6, mbg).
Nonostante la cronica instabilità, il petrolio libico (ma anche il gas) fa ancora gola a molte major energetiche. Perché è pregiato, è vicino, ed è tanto. La Libia possiede riserve pari a 48,4 miliardi di barili, le più grandi in Africa. Senza contare i promettenti giacimenti ancora da esplorare. Se l’Eni è sempre stata il primo operatore petrolifero del Paese (è attiva soprattutto in Tripolitania), la francese Total appare decisa a incrementare la propria presenza, soprattutto in Cirenaica, dove comanda Haftar, acerrimo rivale di Fayyez Serraj, il premier del Governo di accordo nazionale (Gna) stanziato a Tripoli e sostenuto dall’Onu (e da Roma).
Per quanto riconosca il Gna, Parigi intrattiene relazioni amichevoli con Haftar. Le mire di Total sono emerse in marzo, quando ha acquistato dall’americana Marathon Oil il 16% del giacimento di Waha (in Cirenaica) per 450 milioni di dollari. Un accordo però non ritenuto valido da Tripoli e dalla Noc.
A Palermo sarà dunque fondamentale tracciare le linee guida su come gestire le risorse. Nessuna potente milizia è disposta a disarmarsi prima che vengano raggiunti accordi in questa direzione.