La rivalsa successiva all’accertamento può essere emessa solo dal cedente
Il recupero dell’imposta irregolarmente fatturata è solo da parte dell’emittente
Non è possibile recuperare l'imposta accertata in capo al cessionario e a questi restituita dal cedente, con l'emissione di una nota di variazione in aumento. Questo il chiarimento fornito dall'agenzia delle Entrate, con la risposta 66 di ieri, al quesito di una società cedente che ha dovuto restituire l'Iva erroneamente addebitata in fattura nei confronti di un cessionario che ha subito un accertamento relativamente all’operazione.
In particolare, la società cedente aveva emesso fattura con addebito di imposta, che la cessionaria aveva detratto, per un’operazione che per l'Agenzia, era qualificabile come un risarcimento danni piuttosto che come corrispettivo di cessione. Per questo motivo la stessa avrebbe dovuto essere fatturata fuori campo Iva, con conseguente illegittima detrazione da parte del cessionario. Quest'ultimo, quindi, ha chiesto al cedente la restituzione dell'imposta addebitata in fattura e definitivamente accertata e pagata all'Erario.
Posto che il decreto Iva prevede la restituzione dell'imposta non dovuta e accertata in via definitiva dall'amministrazione finanziaria, la modalità prevista per la restituzione si sostanzia con la presentazione di una domanda da parte del cedente o prestatore entro due anni dall'avvenuta restituzione al cessionario o committente dell'importo pagato a titolo di rivalsa. Con il quesito presentato alle Entrate, il cedente proponeva invece di recuperare l’imposta chiedendo al cessionario l'emissione di una nota di variazione, registrandola nei propri registri Iva e portandola in detrazione in sede di liquidazione periodica, seguendo la procedura prevista dall'articolo 60, comma 7, del decreto Iva.
L'Agenzia, non condividendo la soluzione prospettata , ha chiarito che non è applicabile l’articolo 60, comma 7, in quanto la norma legittima il cedente/prestatore ad esercitare il diritto di rivalsa nei confronti del cessionario/committente, una volta effettuato il pagamento dell'imposta; mentre il cessionario non potrebbe procedere all’emissione di una nota di variazione in aumento, secondo l'articolo 26, non Una società cedente ha dovuto restituire l'Iva erroneamente addebitata in fattura nei confronti di un cessionario che ha subito un accertamento dell’Amministrazione finanziaria relativamente all’operazione
Per l'Agenzia il cessionario non potrebbe procedere all’emissione di una nota di variazione in quanto non ha effettuato alcuna operazione fiscalmente rilevante ai fini Iva per cui ricorre l'obbligo di certificazione avendo lo stesso effettuato alcuna operazione fiscalmente rilevante ai fini Iva per cui ricorre l'obbligo di certificazione. Né, prosegue l'Agenzia, l'esercizio del diritto civile alla restituzione dell'Iva indebitamente corrisposta può essere documentato con fattura o nota di variazione.
L'unica strada percorribile dal cedente era all'epoca dei fatti quella prevista dall'articolo 30-ter del Dpr 633/72, ovvero la presentazione di una domanda di rimborso dell'Iva non dovuta, accertata definitivamente, entro due anni dalla restituzione, in via civilistica, al cessionario o committente. Allo stato attuale un cessionario che si trova nella medesima situazione può, in base all'articolo 6 comma 6 del Dlgs 471/97, detrarre l'imposta e pagare una sanzione amministrativa tra 250 e 10mila euro.
1. Il caso
2. La soluzione
RISPOSTA A INTERPELLO