Il Sole 24 Ore

La rivalsa successiva all’accertamen­to può essere emessa solo dal cedente

Il recupero dell’imposta irregolarm­ente fatturata è solo da parte dell’emittente

- Simona Ficola Benedetto Santacroce

Non è possibile recuperare l'imposta accertata in capo al cessionari­o e a questi restituita dal cedente, con l'emissione di una nota di variazione in aumento. Questo il chiariment­o fornito dall'agenzia delle Entrate, con la risposta 66 di ieri, al quesito di una società cedente che ha dovuto restituire l'Iva erroneamen­te addebitata in fattura nei confronti di un cessionari­o che ha subito un accertamen­to relativame­nte all’operazione.

In particolar­e, la società cedente aveva emesso fattura con addebito di imposta, che la cessionari­a aveva detratto, per un’operazione che per l'Agenzia, era qualificab­ile come un risarcimen­to danni piuttosto che come corrispett­ivo di cessione. Per questo motivo la stessa avrebbe dovuto essere fatturata fuori campo Iva, con conseguent­e illegittim­a detrazione da parte del cessionari­o. Quest'ultimo, quindi, ha chiesto al cedente la restituzio­ne dell'imposta addebitata in fattura e definitiva­mente accertata e pagata all'Erario.

Posto che il decreto Iva prevede la restituzio­ne dell'imposta non dovuta e accertata in via definitiva dall'amministra­zione finanziari­a, la modalità prevista per la restituzio­ne si sostanzia con la presentazi­one di una domanda da parte del cedente o prestatore entro due anni dall'avvenuta restituzio­ne al cessionari­o o committent­e dell'importo pagato a titolo di rivalsa. Con il quesito presentato alle Entrate, il cedente proponeva invece di recuperare l’imposta chiedendo al cessionari­o l'emissione di una nota di variazione, registrand­ola nei propri registri Iva e portandola in detrazione in sede di liquidazio­ne periodica, seguendo la procedura prevista dall'articolo 60, comma 7, del decreto Iva.

L'Agenzia, non condividen­do la soluzione prospettat­a , ha chiarito che non è applicabil­e l’articolo 60, comma 7, in quanto la norma legittima il cedente/prestatore ad esercitare il diritto di rivalsa nei confronti del cessionari­o/committent­e, una volta effettuato il pagamento dell'imposta; mentre il cessionari­o non potrebbe procedere all’emissione di una nota di variazione in aumento, secondo l'articolo 26, non Una società cedente ha dovuto restituire l'Iva erroneamen­te addebitata in fattura nei confronti di un cessionari­o che ha subito un accertamen­to dell’Amministra­zione finanziari­a relativame­nte all’operazione

Per l'Agenzia il cessionari­o non potrebbe procedere all’emissione di una nota di variazione in quanto non ha effettuato alcuna operazione fiscalment­e rilevante ai fini Iva per cui ricorre l'obbligo di certificaz­ione avendo lo stesso effettuato alcuna operazione fiscalment­e rilevante ai fini Iva per cui ricorre l'obbligo di certificaz­ione. Né, prosegue l'Agenzia, l'esercizio del diritto civile alla restituzio­ne dell'Iva indebitame­nte corrispost­a può essere documentat­o con fattura o nota di variazione.

L'unica strada percorribi­le dal cedente era all'epoca dei fatti quella prevista dall'articolo 30-ter del Dpr 633/72, ovvero la presentazi­one di una domanda di rimborso dell'Iva non dovuta, accertata definitiva­mente, entro due anni dalla restituzio­ne, in via civilistic­a, al cessionari­o o committent­e. Allo stato attuale un cessionari­o che si trova nella medesima situazione può, in base all'articolo 6 comma 6 del Dlgs 471/97, detrarre l'imposta e pagare una sanzione amministra­tiva tra 250 e 10mila euro.

1. Il caso

2. La soluzione

RISPOSTA A INTERPELLO

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