Deficit, chiesto lo 0,2% di flessibilità Una Spa per gli immobili pubblici
Stop al cumulo tra lavoro e pensione per tre anni a chi esce con «quota 100»
Un Dl con «quota 100» e reddito di cittadinanza dopo il varo della legge di Bilancio. Lo ha annunciato Di Maio all’indomani dell’invio a Bruxelles della risposta alle contestazioni: Roma ha chiesto lo 0,2% di flessibilità per maltempo e dissesto idrogeologico. Tra le novità, la possibilità di allungare a 36 mesi il divieto di cumulo pensione/lavoro per chi si ritirara con «quota 100».
Un doppio obiettivo sul debito, e un impegno più esplicito a mantenere il deficit entro il «limite invalicabile» del 2,4%, ma senza alcuna clausola automatica sulla spesa.
Si traduce così, nei documenti inviati a Bruxelles, il «non ci muoviamo di un millimetro» sul programma di finanza pubblica ribadito ieri dal leader della Lega Matteo Salvini. E in effetti il quadro programmatico, con i saldi e il percorso di riduzione del debito, resta quello inviato a ottobre. Il percorso, cadenzato dal disavanzo al 2,4% del 2019 e al 2,1% e 1,8% nei due anni successivi, porta a fine triennio a un debito pari al 126,7% del Pil. Anche «i proventi da dismissioni e altre entrate afferenti al fondo di ammortamento del debito pubblico», come recita il Dpb a pagina 7, restano «pari a 0,3 punti di Pil», cioè intorno ai 5,5 miliardi all’anno. Intanto, si registra la preoccupazione del capo dello Stato Sergio Mattarella per la tensione fra il governo e la Ue.
L’impegno ad accelerare, con il programma straordinario di privatizzazioni da 18 miliardi (un punto di Pil) è scritto invece nella lettera che accompagna il “nuovo” programma di bilancio. Questa mossa, con gli effetti che avrebbe anche sulle minori emissioni di titoli di Stato, porterebbe a fine triennio il debito al 126% del Pil, cioè sette decimi sotto il programma principale. Ma è la stessa lettera firmata dal ministro Tria a usare il condizionale: perché la dote aggiuntiva di privatizzazioni è pensata anche come «un margine di sicurezza per garatire gli obiettivi di riduzione del debito approvati dal Parlamento», cioè appunto il percorso che punta al 126,7 per cento a fine 2021.
Sul versante del disavanzo, invece, non viene prevista nessuna clausola taglia-spesa in caso di deragliamenti dai binari tracciati dal programma. Un meccanismo di questo tipo, peraltro, rischierebbe di innescare un circolo vizioso. Il deficit rischia di andare fuori linea se la crescita reale si mantiene sotto sia all’1,5% programmatico sia allo 0,9% tendenziale, che rappresenta la base di calcolo per l’indebitamento netto. In quel caso, l’attivazione di una chiusura automatica di rubinetti di spesa rischierebbe di rallentare ulteriormente il Pil, con un effetto prociclico che ne vanificherebbe l’efficacia. Viene ribadito nella lettera, invece, il «monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica» in capo al ministero dell’Economia, a cui tocca il compito di «verificare che l’attuazione delle leggi avvenga in modo da non recare pregiudizio al conseguimento degli obiettivi». Ruolo che andrà giocato soprattutto nell’attuazione di «quota 100» e reddito di cittadinanza, che sono le due voci di spesa principali della manovra.
Sul disavanzo, del resto, Tria ribadisce nella lettera a Bruxelles che i calcoli «non tengono conto della crescita programmata» e cioè, come specificato nel nuovo Dpb, non comprendono effetti di retroazione della maggiore crescita sul saldo di bilancio». Se il Pil accelerasse davvero a +1,5%, in pratica, il deficit effettivo potrebbe attestarsi intorno a 2,2% grazie alle ricadute fiscali. La «flessibilità» (0,2% del Pil) chiesta per gli interventi eccezionali su rete stradale e dissesto idrogeologico, invece, inciderebbe sul calcolo del saldo strutturale, quello al netto di una tantum ed effetti del ciclo su cui si basa il giudizio Ue. Se fosse concessa, il deficit strutturale dell’anno prossimo passerebbe all’1,5%, per poi però tornare all’1,7% dal 2020. Ma la trattativa è solo agli inizi. E non si presenta facile.