Per competere sul mercato occorre evitare la frammentazione e creare grandi gruppi
dell’autonomia delle banche di paese o dei piccoli distretti, come si concilia con l’appartenenza dell’Italia a un sistema regolatorio europeo (Vigilanza Bce insieme a Banca d’Italia, direttive Ue sui salvataggi bancari) e internazionale (Basilea 4, principi contabili Ifrs9) cui tutti gli istituti di credito sono soggetti? La nuova regulation impone a tutti gli istituti, grandi e piccoli, di innalzare i requisiti di capitale per poter continuare a erogare prestiti a famiglie e piccole e medie imprese. E la competizione industriale richiede maxiinvestimenti nel digital banking. Davvero si pensa che piccole Bcc o istituti cooperativi riescano ad attrarre i capitali necessari a stare sul mercato in modo efficiente? Con l’entrata in vigore della direttiva Mifid2, l’era del collocamento bancario di obbligazioni o azioni a carico dei piccoli risparmiatori è destinata a tramontare. E visti i casi di irregolarità (o malversazioni) degli ultimi anni, è auspicabile che certi legami nefasti col territorio vengano superati. Le Bcc e le piccole e medie popolari mantengano dunque intatto il loro business di finanziamento alle famiglie e alle Pmi, redditizio per loro e necessario al sostegno dell’economia reale dei vari distretti industriali. Ma lo facciano adeguandosi ai tempi: i crescenti capitali necessari allo sviluppo vanno trovati sul mercato, che investe se le banche sono efficienti. L’aggregazione dei piccoli istituti in grandi gruppi serve a questo. E ad evitare che eventuali salvataggi, nell’era del “bail in”, finiscano sulle spalle dello Stato alle prese con un debito pubblico crescente.