«No al M5S, ma il Pd non basta» Gentiloni: servono nuovi alleati
Minniti e Martina in campo con molti dubbi Sabato il congresso al via
«L’alleanza con il M5S? No. A maggior ragione dopo la prova di questi primi mesi di governo. Se la coalizione giallo-verde dovesse collassare si torna alle elezioni». Paolo Gentiloni, a qualche mese di distanza dal niet pronunciato da Matteo Renzi in tv da Fabio Fabio all’alleanza con il M5s, vuole fugare ogni dubbio dal tavolo del dibattito interno ai dem. Anche per togliere un’arma ai renziani avversari di Nicola Zingaretti, da lui sostenuto in vista dell’imminente congresso del Pd, accusato nelle scorse settimane di mirare appunto ad un’alleanza futura con il M5s. Sul palco con Gentiloni, al Tempio di Adriano a Roma a presentare il suo libro “La sfida impopulista. Da dove ripartire per tornare a vincere”, c’è anche il fondatore del Pd Walter Veltroni. Entrambi rivendicano l’originaria vocazione maggioritaria, ma riveduta e corretta in un sistema politico non più bipolare e con una legge elettorale proporzionale. Tradotto: non rinunciare alla vocazione maggioritaria, almeno come aspirazione, ma il Pd da solo non basta più. Gentiloni fa anche una stima numerica delle possibilità, se va bene: 20, 25%. Serve evidentemente qualcosa di più grande.
Da parte sua Veltroni evoca «un grande movimento democratico». E va giù duro con il “suo” Pd: «È occupato da correnti e personalismi - dice senza tanti giri di parole -. Se il partito avesse convocato le manifestazioni di Roma e di Torino forse non avrebbe portato in piazza così tanta gente». Mentre Gentiloni immagina piuttosto una grande «alleanza» per «una nuova vocazione maggioritaria». Un’alleanza ancora tutta da costruire - avverte l’ex premier - con qualcosa che ancora non c’è ma di cui si sono viste le avvisaglie nella manifestazione di Torino pro Tav: «Qualcosa di simile al partito che abbiamo fatto in passato può uscire fuori nel prossimo periodo. Mettere insieme la sinistra riformista e moderata, la sinistra radicale, il mondo ambientalista». E di questa alleanza tutta da costruire Gentiloni si candida di fatto ad essere il candidato premier alle prossime elezioni («Io segretario? Attualmente Zingaretti è l’unica candidatura robusta in campo. Io darò una mano, mi piacerebbe lavorare al tessuto delle alleanze che deve crescere nel Paese»).
D’altra parte che il Pd da solo non basta più, quasi fosse un brand ormai usurato e poco attraente, è convinzione anche di altri big dem che si stanno per schierare diversamente da Gentiloni in vista del congresso: Carlo Calenda, con Marco Minniti, parla chiaramente da settimane della necessità di sciogliere il Pd per fondare un Fronte repubblicano contro i populisti al governo: e Matteo Renzi, anche lui con Minniti, è già passato ai fatti fondando all’ultima Leopolda i Comitati di azione civica: una sorta di resistenza democratica e civile che si rivolge direttamente ai cittadini bypassando il “carrozzone” Pd.
Se questo è il pensiero dominante dei big sul partito, si capisce la reticenza a scendere in campo contro Zingaretti (per fare che cosa, e con che peso politico?) da parte degli altri candidati fin qui ufficiosi, tutti in prima fila ieri al Tempio di Adriano: il segretario uscente Maurizio Martina, che (forse?) scioglierà la riserva dopo l’assemblea di sabato che avvierà formalmente il congresso; e l’ex ministro degli Interni Minniti, che (forse?) darà l’annuncio previsto dai suoi sostenitori già per martedì - nella giornata di oggi. Ma i dubbi dell’ex responsabile del Viminale sono ancora molti e riguardano soprattutto la qualità del sostegno del mondo renziano, dal momento che alcunidirigentidirilievo(comeGraziano Delrio e Matteo Orfini) sono pronti a schierarsi con Martina. Ad ogni modo tra i sostenitori di Minniti è tutto pronto, a cominciare dal manifesto congressuale scritto anche con l’aiuto di Calenda per la parte economica. Sui temi del lavoro e della politica industriale i riferimenti minnitiani sono le posizioni pubbliche e gli scritti del segretario della Fim Cisl Marco Bentivogli, che tuttavia non ha voluto essere coinvolto in modo diretto per rispetto dell’autonomia sindacale a cui tiene molto.