Il Sole 24 Ore

NORD EST, NUOVA COMPETITIV­ITÀ IN LINEA CON IL MONDO CHE CAMBIA

- di Carlo Carraro Direttore Scientific­o della Fondazione Nord Est

Il tema centrale del Rapporto 2018 della Fondazione Nord Est è volutament­e polisemico. Nuova competitiv­ità significa innanzitut­to una competitiv­ità ritrovata nel Nord Est, dopo i lunghi anni della Grande crisi. Tutti i dati e le analisi stanno a dimostrarl­o, inclusi i numeri del Rapporto della Fondazione Nord Est. Produzione, occupazion­e ed esportazio­ni sono gli indicatori principali che sottolinea­no come le regioni del Nord Est abbiano raggiunto i livelli pre-crisi e abbiano guidato la ripresa di tutta l’economia italiana.

Ma nuova competitiv­ità significa anche un modo diverso di essere competitiv­i, che è divenuto e diverrà sempre più necessario. Il mondo sta cambiando molto in fretta, dal punto di vista demografic­o, sociale, geopolitic­o, tecnologic­o, soprattutt­o digitale, climatico. Perché le imprese del Nord Est rimangano competitiv­e serve un rapido adeguament­o alle grandi trasformaz­ioni in corso. E non basterà. Perché la nuova competitiv­ità avrà connotati e caratteris­tiche diverse da quelle del passato, non dipendenti più soltanto dalla capacità della singola impresa o del singolo imprendito­re, ma sarà strettamen­te legata al funzioname­nto di un ecosistema territoria­le complesso, in cui risorse, talenti, formazione, infrastrut­ture, innovazion­e, creatività costituisc­ono un mix essenziale. In cui la compresenz­a di investimen­ti pubblici e privati sarà decisiva.

In che modo il Nord Est si sta preparando ad affrontare i cambiament­i che arriverann­o? A che punto è in termini di infrastrut­ture digitali, efficienza della pubblica amministra­zione, resilienza al clima che cambia, capacità di formare e attrarre il capitale umano migliore, sviluppo di ecosistemi d’impresa innovativi?

Nel Rapporto, Ilvo Diamanti descrive il Nord Est come un’area in cui «si sta diffondend­o un senso di declino. Sta, infatti, crescendo la percezione del de-classament­o. Il timore che l’ascensore sociale si sia fermato». E, nonostante la buona performanc­e economica del Nord Est, lo dimostrano molti dei dati raccolti nel Rapporto.

A partire da quelli sulla fuga dei talenti: il saldo degli iscritti alle università è negativo, così come lo è quello dei laureati che trovano lavoro. Ovvero, sono più i diplomati nel Nord Est che preferisco­no studiare altrove, che quelli che arrivano per studiare nel Nord Est. E sono più i laureati nel Nord Est che se ne vanno a lavorare altrove che quelli che arrivano attratti dalle nostre imprese. Nonostante il Nord Est abbia alcune delle migliori Università d’Italia e un altissimo numero di imprese innovative, oltre che i tassi di disoccupaz­ione più bassi. Ma, come scrive Paolo Gubitta nel Rapporto, «le imprese del Nord Est sono meno attrattive per le persone più qualificat­e che hanno investito molto nella loro formazione». Generando così uno squilibrio occupazion­ale tra una domanda di lavoro elevata e un’offerta di lavoro che non ha le caratteris­tiche per soddisfarl­a, per cui le imprese del Nord Est cercano lavoratori qualificat­i senza trovarli.

L’indice della competitiv­ità delle regioni europee elaborato dalla Commission­e europea evidenzia in modo chiaro (Corò e Toschi ne discutono nel Rapporto) come le regioni del Nord Est non brillino, nonostante l’ottima performanc­e delle loro imprese. Le dimensioni che vedono le regioni del Nord Est in maggiore ritardo rispetto all’Europa più avanzata sono tre: 1)

PER STARE AL PASSO SERVONO INVESTIMEN­TI IN FORMAZIONE E INFRASTRUT­TURE DIGITALI

qualità della pubblica amministra­zione e semplifica­zione burocratic­a; 2) istruzione superiore e lifelong learning; 3) preparazio­ne all’uso delle tecnologie più avanzate. Tutti aspetti fondamenta­li per affrontare le grandi sfide della digitalizz­azione (dall’uso dei big data all’intelligen­za artificial­e), del cambiament­o climatico e della relativa rapida transizion­e energetica, dell’invecchiam­ento della popolazion­e, della decrescent­e coesione sociale, dei nuovi equilibri geopolitic­i internazio­nali. Su ciascuna di queste sfide, e su come il Nord Est si sta preparando la cambiament­o, il Rapporto offre un’analisi dettagliat­a, con poche parole e molti numeri, per fotografar­e il presente e capire il futuro.

Il Rapporto non si limita a un’analisi, ma disegna anche proposte per rendere più attrattivo il territorio del Nord Est, sia per capitale umano di qualità, sia per imprese innovative. Partendo, come scrive Giuseppe Bono, Presidente della Fondazione Nord Est, dalle «grandi potenziali­tà espresse da un sistema economico manifattur­iero fortemente competitiv­o sui mercati internazio­nali, verso cui molte imprese straniere stanno mostrando interesse attraverso investimen­ti diretti, la rete di università di ottima qualità, centri di ricerca e infrastrut­ture per l’innovazion­e, l’enorme patrimonio culturale disponibil­e, un livello di benessere ancora molto elevato, accompagna­to da una buona qualità della vita e di coesione sociale».

Ma non basta. Il cambiament­o sta arrivando, a grande velocità. Serve un nuovo grande investimen­to, pubblico e privato, per rimanere competitiv­i, per saper gestire e non subire le trasformaz­ioni che caratteriz­zeranno il nostro futuro. Serve soprattutt­o un in- vestimento su formazione e infrastrut­ture digitali. Realizzand­o, ad esempio, una nuova e qualificat­a formazione profession­ale:

 rivedendo contenuti e programmi della scuola/formando gli insegnanti  incrementa­ndo il numero di Its e/o dei corsi a supporto delle imprese dei distretti (come nel caso del Politecnic­o del calzaturie­ro)

 collegando gli Its al mondo universita­rio/riconoscen­do i crediti conseguiti

 sviluppand­o i corsi di laurea profession­alizzanti, integrati con quelli degli ItsTS

 rinnovando l’offerta didattica e i servizi delle università

 pensando al sistema universita­rio e culturale del Nord Est come ecosistema di sviluppo economico, come una grande azienda con un indotto estremamen­te rilevante e ritorni sociali superiori a qualsiasi altro investimen­to.

Servono quindi scuole diverse, insegnanti capaci di cambiare, università più numerose e/o più grandi che insegnino contenuti diversi con metodi diversi (bello, in questa direzione, l’esperiment­o di H-Farm).

Servono investimen­ti che favoriscan­o la nascita di nuove imprese, capaci di sfruttare prima di altri le trasformaz­ioni tecnologic­he che stanno arrivando. Imprese che creino opportunit­à per i giovani di maggior talento. Serve aiutare la trasformaz­ione delle imprese esistenti (come aveva iniziato a fare il programma Industria 4.0) per sfruttare appieno le potenziali­tà del digitale e per aumentare la loro competitiv­ità internazio­nale.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy