NORD EST, NUOVA COMPETITIVITÀ IN LINEA CON IL MONDO CHE CAMBIA
Il tema centrale del Rapporto 2018 della Fondazione Nord Est è volutamente polisemico. Nuova competitività significa innanzitutto una competitività ritrovata nel Nord Est, dopo i lunghi anni della Grande crisi. Tutti i dati e le analisi stanno a dimostrarlo, inclusi i numeri del Rapporto della Fondazione Nord Est. Produzione, occupazione ed esportazioni sono gli indicatori principali che sottolineano come le regioni del Nord Est abbiano raggiunto i livelli pre-crisi e abbiano guidato la ripresa di tutta l’economia italiana.
Ma nuova competitività significa anche un modo diverso di essere competitivi, che è divenuto e diverrà sempre più necessario. Il mondo sta cambiando molto in fretta, dal punto di vista demografico, sociale, geopolitico, tecnologico, soprattutto digitale, climatico. Perché le imprese del Nord Est rimangano competitive serve un rapido adeguamento alle grandi trasformazioni in corso. E non basterà. Perché la nuova competitività avrà connotati e caratteristiche diverse da quelle del passato, non dipendenti più soltanto dalla capacità della singola impresa o del singolo imprenditore, ma sarà strettamente legata al funzionamento di un ecosistema territoriale complesso, in cui risorse, talenti, formazione, infrastrutture, innovazione, creatività costituiscono un mix essenziale. In cui la compresenza di investimenti pubblici e privati sarà decisiva.
In che modo il Nord Est si sta preparando ad affrontare i cambiamenti che arriveranno? A che punto è in termini di infrastrutture digitali, efficienza della pubblica amministrazione, resilienza al clima che cambia, capacità di formare e attrarre il capitale umano migliore, sviluppo di ecosistemi d’impresa innovativi?
Nel Rapporto, Ilvo Diamanti descrive il Nord Est come un’area in cui «si sta diffondendo un senso di declino. Sta, infatti, crescendo la percezione del de-classamento. Il timore che l’ascensore sociale si sia fermato». E, nonostante la buona performance economica del Nord Est, lo dimostrano molti dei dati raccolti nel Rapporto.
A partire da quelli sulla fuga dei talenti: il saldo degli iscritti alle università è negativo, così come lo è quello dei laureati che trovano lavoro. Ovvero, sono più i diplomati nel Nord Est che preferiscono studiare altrove, che quelli che arrivano per studiare nel Nord Est. E sono più i laureati nel Nord Est che se ne vanno a lavorare altrove che quelli che arrivano attratti dalle nostre imprese. Nonostante il Nord Est abbia alcune delle migliori Università d’Italia e un altissimo numero di imprese innovative, oltre che i tassi di disoccupazione più bassi. Ma, come scrive Paolo Gubitta nel Rapporto, «le imprese del Nord Est sono meno attrattive per le persone più qualificate che hanno investito molto nella loro formazione». Generando così uno squilibrio occupazionale tra una domanda di lavoro elevata e un’offerta di lavoro che non ha le caratteristiche per soddisfarla, per cui le imprese del Nord Est cercano lavoratori qualificati senza trovarli.
L’indice della competitività delle regioni europee elaborato dalla Commissione europea evidenzia in modo chiaro (Corò e Toschi ne discutono nel Rapporto) come le regioni del Nord Est non brillino, nonostante l’ottima performance delle loro imprese. Le dimensioni che vedono le regioni del Nord Est in maggiore ritardo rispetto all’Europa più avanzata sono tre: 1)
PER STARE AL PASSO SERVONO INVESTIMENTI IN FORMAZIONE E INFRASTRUTTURE DIGITALI
qualità della pubblica amministrazione e semplificazione burocratica; 2) istruzione superiore e lifelong learning; 3) preparazione all’uso delle tecnologie più avanzate. Tutti aspetti fondamentali per affrontare le grandi sfide della digitalizzazione (dall’uso dei big data all’intelligenza artificiale), del cambiamento climatico e della relativa rapida transizione energetica, dell’invecchiamento della popolazione, della decrescente coesione sociale, dei nuovi equilibri geopolitici internazionali. Su ciascuna di queste sfide, e su come il Nord Est si sta preparando la cambiamento, il Rapporto offre un’analisi dettagliata, con poche parole e molti numeri, per fotografare il presente e capire il futuro.
Il Rapporto non si limita a un’analisi, ma disegna anche proposte per rendere più attrattivo il territorio del Nord Est, sia per capitale umano di qualità, sia per imprese innovative. Partendo, come scrive Giuseppe Bono, Presidente della Fondazione Nord Est, dalle «grandi potenzialità espresse da un sistema economico manifatturiero fortemente competitivo sui mercati internazionali, verso cui molte imprese straniere stanno mostrando interesse attraverso investimenti diretti, la rete di università di ottima qualità, centri di ricerca e infrastrutture per l’innovazione, l’enorme patrimonio culturale disponibile, un livello di benessere ancora molto elevato, accompagnato da una buona qualità della vita e di coesione sociale».
Ma non basta. Il cambiamento sta arrivando, a grande velocità. Serve un nuovo grande investimento, pubblico e privato, per rimanere competitivi, per saper gestire e non subire le trasformazioni che caratterizzeranno il nostro futuro. Serve soprattutto un in- vestimento su formazione e infrastrutture digitali. Realizzando, ad esempio, una nuova e qualificata formazione professionale:
rivedendo contenuti e programmi della scuola/formando gli insegnanti incrementando il numero di Its e/o dei corsi a supporto delle imprese dei distretti (come nel caso del Politecnico del calzaturiero)
collegando gli Its al mondo universitario/riconoscendo i crediti conseguiti
sviluppando i corsi di laurea professionalizzanti, integrati con quelli degli ItsTS
rinnovando l’offerta didattica e i servizi delle università
pensando al sistema universitario e culturale del Nord Est come ecosistema di sviluppo economico, come una grande azienda con un indotto estremamente rilevante e ritorni sociali superiori a qualsiasi altro investimento.
Servono quindi scuole diverse, insegnanti capaci di cambiare, università più numerose e/o più grandi che insegnino contenuti diversi con metodi diversi (bello, in questa direzione, l’esperimento di H-Farm).
Servono investimenti che favoriscano la nascita di nuove imprese, capaci di sfruttare prima di altri le trasformazioni tecnologiche che stanno arrivando. Imprese che creino opportunità per i giovani di maggior talento. Serve aiutare la trasformazione delle imprese esistenti (come aveva iniziato a fare il programma Industria 4.0) per sfruttare appieno le potenzialità del digitale e per aumentare la loro competitività internazionale.