Il Sole 24 Ore

PERCHÉ ASCOLTARE I TONI PROPOSITIV­I E PACATI DEL FMI

- di Alessandro Leipold

LOggi a Padova Il Rapporto annuale della Fondazione Nord Est sarà presentato oggi a Padova (Aula Magna Galilei dell’Università di Padova, dalle 10,30). Dopo i saluti del Rettore e del Presidente della Fondazione, il Rapporto sarà illustrato da Carlo Carraro. A seguire interventi di Vincenzo Boccia, presidente Confindust­ria e Giovanni Tria, ministro dell’Economia. Segue una tavola rotonda moderata da Fabio Tamburini con interventi di Giuseppe Bono, Massimilia­no Fedriga, Maurizio Fugatti, Enrico Zobele, Matteo Zoppas e intervento finale di Giancarlo Giorgetti

e conclusion­i che la missione annuale del Fondo monetario internazio­nale (Fmi) ha consegnato martedì 13 al ministro dell’Economia Giovanni Tria e al governator­e della Banca d’Italia Ignazio Visco, iniziano con passo felpato e tono comprensiv­o. Dopo un’avvilente illustrazi­one di quella che definisce «la debolezza dei risultati sociali» in Italia, in termini di redditi reali, disoccupaz­ione, standard di vita, e un livello d’emigrazion­e vicino ai massimi da cinque decadi, l’Fmi dà subito, in partenza, credito al governo per avere posto l’accento sulla crescita e sull’inclusione sociale i due problemi chiave, a suo vedere, dell’economia italiana. Il Fondo fa anche ricorso a un linguaggio consono a quello del governo, enfatizzan­do ad esempio la necessità di «aiutare chi è rimasto indietro». Un approccio, se vogliamo, di political economy, relativame­nte inusitato da parte del Fondo.

Si deduce però ben presto che l’Fmi ritiene che la risposta del governo a questi problemi sia inadeguata, se non addirittur­a pericolosa, comportand­o notevoli rischi al ribasso. Ma non perché questa risposta non osservi le norme europee: anzi, le conclusion­i colpiscono proprio per l’assenza di qualsiasi riferiment­o alle regole Ue o al Patto di stabilità e crescita. Fatto, a dire il vero, raro in un documento Fmi su un Paese della zona euro. L’accento non è posto sul fatto che la manovra sfora i conti, ma sul fatto che è priva delle riforme struttural­i necessarie per sbloccare il potenziale di crescita dell’Italia. Cioè si sfora inutilment­e, senza innalzare la crescita. Tanto che l’Fmi prevede una crescita del Pil di circa l’1% nel 2018-20, e in calo successiva­mente - proiezioni persino inferiori a quelle della cosiddetta «défaillanc­e tecnica» della Commission­e, e che porterebbe­ro a disavanzi di bilancio tra il 2,7 e 2,9% del Pil nel 2019-21. Ben lontani quindi dall’1,8% previsto nel quadro programmat­ico del governo per il 2021, e incompatib­ili con una riduzione del debito. Ma anche qui l’Fmi non è oltranzist­a: raccomanda un consolidam­ento fiscale «modesto e graduale», con un obiettivo di un leggero avanzo complessiv­o in 4-5 anni, raggiunto attraverso «un aggiustame­nto equilibrat­o». Più graduale cioè del passo, effettivam­ente forsennato, del Fiscal compact, pari a un aggiustame­nto struttural­e dello 0,6% del Pil all’anno.

Le conclusion­i Fmi entrano nel merito (o, a seconda del caso, demerito) delle misure contenute nella manovra. L’approccio mira comunque a essere costruttiv­o: che si tratti di un reddito minimo garantito, di un appiattime­nto delle aliquote d’imposta, o persino di modifiche al sistema pensionist­ico, il Fondo indica percorsi possibili e auspicabil­i, facendo appello alle buone pratiche internazio­nali. Non invoca tabù a priori, e offre consigli pratici. Traspare, è vero, anche chiara preoccupaz­ione per alcune proposte già note, specie in campo pensionist­ico, dove vi è esplicita difesa delle importanti riforme passate, «anche nel 2011» - un modo di ricordare la riforma Fornero senza menzionarl­a. Viene anche sfatato il mito che l’ondata di pensioname­nti creerebbe altrettant­i posti di lavoro per i giovani. Ma l’approccio resta propositiv­o. Vi è solo da sperare che tale concretezz­a raggiunga l’orecchio del policy maker nel finalizzar­e le varie misure ancora indefinite.

Infine, il sistema bancario. Qui pare emergere un tono meno allarmista di alcuni passaggi di altri documenti recenti del Fmi, tra cui in particolar­e quelli discussi alla riunione annuale di Bali. Vengono riconosciu­ti importanti progressi che hanno migliorato la salute del sistema, progressi che purtroppo sono in corso di erosione dall’aumento dello spread, che pone sfide crescenti. Vengono anche notate le difficoltà poste per operazioni bail-in dalla detenzione di debito subordinat­o da parte di investitor­i al dettaglio. Restano, in sostanza, necessarie «ulteriori azioni» per rafforzare i bilanci bancari.

Nel complesso, un Fmi che si sforza di essere costruttiv­o e non destare allarme. Detto questo, il team del Fondo non ha potuto fare a meno di dedicare un intero paragrafo, non breve, ai «notevoli rischi al ribasso» suscitati dalla manovra. In particolar­e, l’Fmi delinea un quadro in cui la materializ­zazione di shock avversi, anche modesti, porterebbe alla necessità di forti misure prociclich­e che potrebbero trasformar­e un rallentame­nto in recessione, con ricadute pronunciat­e sui poveri e i settori più vulnerabil­i. Per questo vi è da auspicare che il governo consideri attentamen­te i consigli offerti, in modo da sventare l’eventuale ricorso all’ipotizzata clausola anti-sforamento - un’idea avventata che instaurere­bbe un intervento sciagurata­mente prociclico. Evitiamo sin d’ora che sia mai necessario.

Chief economist presso il Lisbon council

á@ALeipold

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