Il Sole 24 Ore

STRATEGIA EUROPEA CONTRO I PROTEZIONI­SMI

- di Andrea Montanino e Matteo Pignatti Centro Studi Confindust­ria

Il 2018 è stato l’anno dell’escalation protezioni­stica americana, con la Cina come target numero uno. Finora le nuove tariffe hanno colpito 250 miliardi di dollari di importazio­ni statuniten­si dalla Cina (su un totale di oltre 520) e hanno provocato ritorsioni cinesi su 110 miliardi di acquisti dagli Usa (su un totale di 170). Misure che potrebbero estendersi presto alla quasi totalità degli scambi tra i due Paesi.

Nel nuovo Rapporto della Fondazione Nord Est guardiamo ai possibili effetti sugli assetti geoeconomi­ci mondiali. Intanto l’aumento dell’incertezza e il calo della fiducia degli operatori blocca commesse e investimen­ti all’estero, come si osserva già nei dati deludenti degli scambi internazio­nali nel 2018. Nel medio-lungo periodo le tariffe creeranno distorsion­i dei flussi di scambio e interruzio­ni delle catene globali del valore, rendendo i processi produttivi meno efficienti e più costosi, con un danno per tutti i Paesi coinvolti.

Se l’obiettivo è frenare l’avanzata cinese verso la leadership globale, si resterà delusi. La Cina è già il primo esportator­e mondiale e il secondo importator­e, dopo gli Stati Uniti, con una quota degli scambi globali salita dal 3 al 12% negli ultimi 20 anni. Le produzioni cinesi si sono inserite a valle delle catene globali del valore, diventando il terminale di un’area asiatica fortemente integrata. L’attuale strategia, esplicitat­a nel piano “Made in China 2025”, è quella di portare dentro i confini nazionali le produzioni alla frontiera tecnologic­a, a più alto valore aggiunto, facendo leva sulla crescita dei consumi interni.

E l’Europa? Non può certo stare a guardare. Si pensi al settore degli autoveicol­i, di cui la Cina rappresent­a il più grande mercato finale, con 1/3 della domanda globale: le catene globali del valore fanno sì che molte auto europee vendute in Cina siano in realtà prodotte negli Stati Uniti. L’escalation dei dazi tra Cina e Stati Uniti favorisce lo spostament­o delle produzioni dall’altro lato del Pacifico: Bmw prevede di produrre in Cina entro fine anno, con il partner locale Brilliance, e Daimler ha avviato una joint venture per la produzione di auto elettriche con il gruppo cinese Geely. Anche l’accordo commercial­e tra Stati Uniti, Messico e Canada, rendendo più costoso per le aziende produrre negli Usa, potrebbe avere l’effetto involontar­io di accelerare la rilocalizz­azione produttiva verso il mercato cinese.

Allo stesso tempo, la Cina è ormai un grande investitor­e internazio­nale. L’Europa, nel suo complesso, è stata negli ultimi anni la prima destinazio­ne degli investimen­ti cinesi ed è lo sbocco naturale della Nuova Via della Seta.

La nuova leadership cinese, però, porta con sé enormi contraddiz­ioni. La Cina resta un’economia non di mercato, in cui non sono garantiti gli standard di diritto internazio­nale. L’acquisizio­ne di conoscenze proprietar­ie delle imprese estere avviene anche in modo forzato, attraverso pratiche scorrette che riguardano le richieste di joint venture, le restrizion­i agli investimen­ti diretti esteri, le procedure amministra­tive opache, le assegnazio­ni discrimina­torie di licenze e vere e proprie intrusioni informatic­he.

Inoltre, l’arrivo degli investimen­ti cinesi pone nuove problemati­che di controllo della sicurezza nazionale, con particolar­e riguardo alle informazio­ni sensibili e ai dati personali (per esempio, nel campo delle assicurazi­oni) e ai settori strategici come le nuove tecnologie. L’amministra­zione Usa è particolar­mente attiva in questo campo, specie con il rafforzame­nto dell’autorità di vigilanza sugli investimen­ti dall’estero. In Europa, invece, manca un’istituzion­e comune di controllo; solo 12 Paesi Ue (tra cui Germania, Francia e Italia) hanno meccanismi nazionali di vigilanza, e comunque differenti tra loro.

Occorre allora agire su tre fronti: 1) implementa­re la recente proposta della Commission­e europea di un meccanismo comune di vigilanza, con la creazione di un gruppo di coordiname­nto per lo screening degli investimen­ti dall’estero; 2) mantenere alta la pressione per accelerare il processo di liberalizz­azione del mercato interno cinese, per esempio nella rimozione dei limiti al possesso azionario estero nei mezzi di trasporto; 3) a fronte della strategia isolazioni­sta americana, puntare invece a rafforzare i legami con gli altri partner commercial­i, con l’implementa­zione piena degli accordi raggiunti con il Canada e il Giappone e la conclusion­e dei negoziati con i Paesi del Mercosur.

L’ISOLAZIONI­SMO USA SI AFFRONTA RAFFORZAND­O I LEGAMI CON I PARTNER COMMERCIAL­I

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