Il Congresso Usa verso nuove restrizioni all’hi-tech cinese
Cooperazione industriale e scientifica monitorate da una Commissione ad hoc Obiettivo: impedire furti di proprietà intellettuale e trasferimento di know-how
Il Congresso americano alza la temperatura sui rapporti tra Stati Uniti e Cina, già scossi dalle guerre commerciali perseguite dalla Casa Bianca, invocando nuove e pressanti inchieste e più stretta supervisione sui legami economici e tecnologici tra le due grandi potenze. La presa di posizione è arrivata da parte della US-China Economic and Security Review Commission: la raccomandazione della commissione prescrive che l’amministrazione Trump, sotto forma di un rapporto annuale, dia conto di quelle che vengono definite come vulnerabilità e pericoli derivati dalla fitta rete di forniture industriali che corre tra i due sistemi industriali.
La Commissione, che ieri ha illustrato il proprio documento annuale, lancia una nuova stoccata anche contro la cooperazione scientifica già nel mirino, con la Casa Banca che sta considerando inedite restrizioni contro studenti cinesi in America in materie scientifiche. Il braccio parlamentare chiede qui un costante esame di tutti gli aspetti di collaborazione tecnica bilaterale tra associazioni e istituzioni. L’obiettivo esplicito è portare alla luce un possibile furto di proprietà intellettuale e eventuali vantaggi che potrebbero derivarne per le ambizioni militari di Pechino. Tra le armi sfoderate dai parlamentari ci sono domande di vederci più chiaro sull’impatto della Belt and Road Initative, la nuova Via della Seta ideata dai cinesi per espandere l’influenza regionale e internazionale, e sulle manovre delle forze armate del Paese nel Mar cinese meridionale. Non è escluso un ricorso contro Pechino e le sue politiche industriali anche alla altrimenti invisa, nell’era di America First, World Trade Organization.
Il furto di proprietà intellettuale in campo hi-tech è da tempo al centro delle preoccupazioni degli Stati Uniti, compresa la Corporate America anche se con toni meno aggressivi rispetto a quelli adottati dall’amministrazione Trump sul commercio e che hanno preso di mira anche alleati quali le nazioni europee tra la costernazione del mondo degli affari. La Casa Bianca, ispirata da un falco commerciale quale il consigliere Peter Navarro, ha oggi in corso un duro conflitto commerciale con Pechino, che accusa di pratiche scorrette, a colpi di sanzioni e controsanzioni e tra negoziati finora parsi incapaci di superare le impasse. Washington, che ha annunciato ad oggi dazi su 250 miliardi di prodotti made in China e potrebbe raddoppiarli nelle prossime settimane, sospetta Pechino anche di infiltrazioni indebite nella politica statunitense. E lo stesso Pentagono ha di recente rilasciato un’analisi che denuncia crescenti rischi da Pechino per tecnologie considerate indispensabili alla sicurezza nazionale.
Dentro la stessa amministrazione, in realtà, esistono divergenze sul corso ora da seguire: il consigliere economico Larry Kudlow ha nei giorni scorsi rimproverato Navarro per dichiarazioni troppo estremiste e vengono coltivate ipotesi di disgelo in vista del prossimo G20 di fine tra i leader globali in Argentina. La mossa della Commissione parlamentare, tuttavia, potrebbe trovare eco in una Casa Bianca a caccia di riscatto e ulteriori, popolari iniziative all’indomani della sconfitta elettorale del partito repubblicano alle elezioni di Midterm per il rinnovo del Congresso. E in risposta al riaccendersi di terremoti interni alla stessa amministrazione, dove Trump ha cacciato il Ministro della Giustizia Jeff Sessions e potrebbe vedere presto l’uscita di altri esponenti di primo piano, a cominciare dal capo di staff John Kelly ormai ai ferri corti sia con Trump che con la First Lady Melania.
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