Nel contratto di conservazione attenzione ai subfornitori
Quando uno stesso soggetto agisce con partita Iva e come consumatore o con finalità non commerciali spesso sarà il commercialista a dover «scorporare» le operazioni per non dedurre i costi e detrarre l’imposta
La conservazione della fattura elettronica deve essere garantita per almeno dieci anni. Diventa quindi strategica la scelta del conservatore e importante la capacità di sapersi districare tra i contratti di servizio, diffidando di quelli troppo sintetici. La creazione e gestione della fattura e la sua conservazione sono due passaggi distinti e di norma hanno due contratti diversi, anche se il fornitore è lo stesso.
Il conservatore deve essere valutato in base alla struttura (più è solida, anche finanziariamente, e più dovrebbe essere sicura), alle apparecchiature ma anche al processo di gestione dei documenti. Bisogna, inoltre, tutelarsi nel caso in cui il conservatore che abbiamo scelto fallisca o chiuda. Il contratto deve prevedere, quindi, che i nostri documenti digitali siano riversati presso un altro conservatore. Nel caso di fatture della pubblica amministrazione la legge pone come obbligo che il conservatore sia accreditato Agid (Agenzia per l’Italia digitale), ovviamente conviene verificare che il numero di protocollo sia reale. Anche se non è obbligatoria l’accreditazione Agid nel B2B dà certamente garanzie importanti . «Quasi tutti i conservatori sono accreditati Agid spiega Bonfiglio Mariotti, presidente di Assosoftware - e si tratta di una certificazione che comporta verifiche semestrali da parte dell’Agid per accertare se si è compliance con la certificazione». Il “bollino” Agid non solo è una garanzia per l’utente, ma fornisce anche una serie di agevolazioni al conservatore grazie agli strumenti e alle competenze che mette a disposizione.
Un’altro elemento che è meglio esplicitare nel contratto riguarda eventuali subappaltatori. Il fornitore a cui ci si rivolge per i servizi che riguardano la fatturazione elettronica deve dichiarare se ricorre a sub-fornitori, sia perché è sempre meglio sapere chi gestisce materialmente i nostri documenti sia perché le responsabilità del fornitore devono essere estese anche al sub fornitore. A questo proposito è già stato approvato un emendamento al Dl fiscale che “vieta” a Sogei (quindi all’agenzia delle Entrate) di affidare a terzi esterni la conservazione.
Con internet si è un po’ persa l’abitudine di leggere i contratti ma nel contratto di conservazione conviene fare uno sforzo. «Il contratto - raccomanda Mariotti - deve essere letto, stampato e, per legge, firmato in originale».
Potrà sembrare strano, ma la fattura elettronica verso i consumatori finali ha complessità almeno pari se non maggiori delle cessioni ai soggetti passivi Iva. La condizione del cliente consumatore finale, infatti, può presentarsi in situazioni variegate. Sono consumatori finali coloro che pongono in essere acquisti fuori da un regime di soggettività passiva Iva: i privati (persone fisiche), gli enti non commerciali e i condomìni. Le persone fisiche possono essere però, al contempo, anche esercenti attività d’impresa e professionali e gli enti non commerciali che svolgono anche attività commerciali, seppure in misura limitata, o semplicemente oltre il limite previsto per gli acquisti intracomunitari, pertanto dotati di partita Iva.
Perciò uno stesso soggetto in sede di acquisto può – al tempo stesso – operare nel proprio diretto interesse fuori dalla soggettività passiva Iva e nell’interesse della propria attività imprenditoriale e/ o professionale.
Le regole per i consumatori
Dal 1° gennaio 2019 la fattura elettronica verrà trasmessa per via telematica al Sistema di interscambio (Sdi), e da questo recapitata al soggetto ricevente, con procedimento che deve poter contare su una serie di informazioni e codifiche peculiari nella predisposizione del flusso per i rapporti con i consumatori finali.
Le specifiche tecniche, per questi soggetti che non agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione richiedono che venga riportato unicamente il codice fiscale e non anche il numero di partita Iva (perché di norma non posseduto da parte del consumatore finale). Al posto della partita Iva è prevista l’indicazione del codice convenzionale «0000000» e, nella sezione delle informazioni anagrafiche del file della fattura elettronica, che non siano stati compilati i campi «IdFiscaleIVA» e sia stato compilato solo il campo «CodiceFiscale» del cessionario/committente che consentirà al Sdi di recapitare la fattura elettronica e/o renderla disponibile al cessionario/committente.
Dualismo delle ditte individuali
Se la cessione o il servizio non rientra fra quelli certificabili tramite scontrino o ricevuta fiscale, quando l’acquisto viene effettuato da una persona fisica per finalità strettamente personali, la fattura pescando in forma automatica dall’anagrafica esporrà il soggetto dotato di «IdPartitaIVA». Si pensi a un imprenditore che acquista un servizio dal proprio legale di fiducia per la sua famiglia da uno studio che è fornitore abituale nell’impresa.
Non è ipotizzabile, caso per caso, sganciare dall’anagrafica l’informazione sulla base della destinazione della finalità personale o meno. Quindi la fattura verrà emessa sistematicamente con l’identificativo del soggetto passivo Iva e al limite potrà essere classificata nella sua specificità attraverso l’inserimento di una informazione nel file Xml utile a una migliore riconoscibilità.
Comunque, anche se un intervento manuale consentisse di emettere una fattura che riporti il codice fiscale dell’imprenditore anziché la sua partita Iva, non è detto che il problema verrebbe risolto per i risvolti in capo al destinatario. Infatti, quando il Sdi produrrà la consegna del file Xml costituente la fattura elettronica, il recapito – tramite il codice destinatario o la Pec o l’intermediario – produrrà il recupero automatico nella contabilità della ditta, in virtù dell’automaticità del flusso. Sarà quindi onere di chi tiene la contabilità fare e specifici controlli per evitare che costi non inerenti producano effetti:
sul reddito dell’impresa;
sulla detrazione dell’Iva:
sull’errata applicazione della ritenuta alla fonte (nel caso di fornitori professionisti).
Attenzione ai casi in cui il titolare di un’impresa individuale fa spese personali da un proprio fornitore
Le cessioni agli enti non profit
Per gli enti non commerciali privati dotati di partita Iva che svolgono attività commerciale e non profit, si potrebbe teoricamente ipotizzare un utilizzo disgiunto della partita Iva e/o del codice fiscale con due diversi indirizzi di recapito. Questo, però, pone due problemi pratici:
il fornitore abituale dovrebbe distinguere di volta in volta a che titolo viene fatto l’acquisto;
avendo due indirizzi, l’ente non potrebbe preregistrarsi sui servizi delle Entrate (Fatture e corrispettivi).
È facile prevedere che - come già capita oggi con le Pa - tutte le cessioni anagraficamente saranno vincolate alla presenza della partita Iva, non potendo immaginare di modificare di volta in volta l’impostazione in ragione della condizione del singolo acquisto operato dall’ente. Quindi, finendo in contabilità, tali cessioni produrranno detraibilità dell’Iva e afferenza o meno alla sfera d’impresa dell’acquisto, in ragione dell’intervento del contabile.
In questa situazione torna di piena attualità il tema della modalità di detrazione Iva per cui è auspicabile che l’agenzia delle Entrate torni a confermare la legittimità della detrazione Iva con criteri proporzionali.