Medici di strada per assistere gli ultimi
«L’asse portante sono i professionisti in pensione, dal medico di medicina generale al professore universitario allo specialista. Ma al loro fianco ci sono anche i giovani e questo consente di coniugare l’entusiasmo di chi inizia la carriera all’esperienza dei più anziani». Salvatore Geraci, “medico di strada” da 32 anni e coordinatore sanitario di Caritas italiana, che nel Paese conta una quarantina di centri, traccia l’identikit del camice bianco “pro bono”.
Destinatari d’elezione, immigrati cosiddetti “Stp” (stranieri temporaneamente presenti) e “irregolari” ma anche, e sempre più spesso italiani, senza fissa dimora o che non possono permettersi le cure più costose come l’odontoiatria. Per questi ultimi a Roma è stato attivato l’ambulatorio dentistico di Ponte Casilino, mentre alla stazione Termini c’è la sede del poliambulatorio dove da 35 anni un’ottantina di medici volontari offre essenzialmente cure di base.
«Tra le prestazioni più fornite – afferma Geraci – c’è la medicheria, dedicata a quelle persone escluse da tutto, perché senza l’iscrizione al Ssn non hanno un medico di base, se vanno in Pronto soccorso non sono in condizioni così gravi da ricevere cure immediate oppure perché necessitano di assistenza continuativa. E se l’80% dei casi li risolviamo con il dispensario rifornito da Banco farmaceutico, da medici o da singoli cittadini grazie alla legge Gadda contro lo spreco di medicine, negli anni ci siamo attrezzati anche con la piccola diagnostica». Molti volontari sono infatti anche specialisti e rispondono alle nuove esigenze dei pazienti: negli anni tra gli stranieri si è infatti avuta una transizione epidemiologica dalle malattie infettive alla cronicità.
«Abbiamo quattro studi aperti contemporaneamente – spiega Geraci – e un utente può ricevere sia la visita di base sia elettrocardiogramma o ecografia. In più, grazie al ricettario rosa, possiamo prescrivere visite specialistiche. Così il “pro bono” esce dall’ambulatorio: una rete di laboratori regala analisi ai più fragili. La nostra attività è rivolta agli ultimi, guai a pensare che il privato sociale possa sostituire il Ssn».